
Ds prigionieri nella torre dell’Asinello
Il coccolone alla Bolognina è un piatto per stomaci forti. Indigesto. Dopo le elezioni del 13 giugno, l’ha provato suo malgrado la diessina Mariuccia Fusco, segretaria della sezione Capponcelli, vecchio cuore rosso che più rosso non si può nel santuario bolognese della svolta di Achille Occhetto. Nel quartiere Bolognina, appunto, dove si annunciarono dieci anni fa i tardivi funerali del Pci, dopo la caduta del Muro di Berlino.
Quercia potata Proprio lì la Quercia s’è ritrovata dimezzata nei consensi, da diecimila a cinquemila e rotti voti. È un crollo carico di simbolismi, secondo molti, roba da “coccolone” ed proprio quello che stava per venire alla povera segretaria, colpita da malessere e bassa pressione. Eppure, non a caso in quel quartiere è iniziato il fattaccio, dicono ora a posteriori gli esegeti della politica bolognese. È proprio dalla Bolognina che pochi mesi fa è partita l’avventura, che molti pensavano donchisciottesca, dell’ex ragazzo di bottega, il macellaio che ha saputo far carriera da solo, quel Giorgio Guazzaloca che ha costretto Bologna al ballottaggio per il sindaco. È già una vittoria, contro i pronostici e la tradizione. Guazza, così lo chiamano amici e nemici, ha rastrellato il 41,5 per cento dei consensi, contro il 46,6 della rossa di cuore e capelli, Silvia Bartolini. Autopropostasi come innovatrice certificata e incontestabile, Silvia la caliente, l’ex pasionaria dagli slogan facili, candidata dopo defezioni e defenestrazioni pesanti come quella del sindaco uscente Vitali, non ha evidentemente convinto del tutto proprio parte dei suoi. Ad un faccia a faccia con il rivale, di fronte ad una platea di sinistra quale è quella degli artigiani della Cna, la diessina s’era presa una bordata di fischi per aver dato, in perfetto stile femminista anni ’70, del maschilista al Guazzaloca solo perché questi l’aveva appellata con “ragazza”. Ma all’evento ballottaggio, va aggiunto, ulteriore sorpresa nella sorpresa, quel 15,6 per cento di voti che ha raggranellato la lista civica del Guazzaloca, oltre all’appoggio delle forze del Polo, e che l’ha proiettata al secondo posto tra le formazioni politiche, dietro al 25 per cento dei voti raccolti da diessini, calati di un secco 11 per cento rispetto alle precedenti elezioni. Il ballottaggio brucia ancor di più agli ex comunisti, perché sulla poltrona di presidente della Provincia si è invece seduto al primo colpo Vittorio Prodi, ovviamente prodiano di ferro per ragioni di sangue e carriera. I democratici di Prodi e Di Pietro, guidati anche dall’ex presidente della Regione Antonio La Forgia e forti di un 11 per cento di adesioni, hanno già cominciato a puntare i piedi pretendendo che Bartolini non vada a patti con Rifondazione comunista, potenziale ago della bilancia nei tempi supplementari. A far da guastafeste ci si è però messo un fedelissimo di Prodi della prima ora, agli inizi dell’Ulivo, Gianni Pecci, già direttore di Nomisma, che ha detto e ribadito pubblicamente “voterò per Guazzaloca”.
Sotto gli apparati, il popolo Partita aperta dunque a Bologna? Difficile a dirsi, nel pieno dell’estate romagnola alle porte, con ammiccamenti astensionistici sempre più forti e con i rifondatori in meditazione se lasciare o no la città, come dicono loro, a Fini e Berlusconi. Certo, la sinistra vacilla. Per la prima volta è lei e non gli avversari a temere, e seriamente, di perdere la vetrina simbolo. Se un merito Guazzaloca ce l’ha, non è tuttavia quello di aver fatto una crociata contro gli orfani di falce e martello. L’aspirante primo cittadino è stato piuttosto l’alfiere del cambiamento possibile, della rinascita dal basso a 360 gradi e non dagli apparati: comunque gli vada, Guazza il pragmatico ha sconfitto al primo turno il “scettico-snob”, il tipico bolognese medio ad endemica diffusione, tollerante per definizione ma neanche troppo segretamente conformista, convinto da 50 anni senza ammetterlo che sia meglio lasciar correre, se il conto in banca cresce, all’insegna inconfessata dell’aforisma partenopeo: “Francia o Spagna? Purché se magna”. È un opportunismo alimentato ad arte a Bologna dalla convinzione, come la regina della storia di Biancaneve, di essere sempre la città più bella del reame, a costo di non voler vedere nello specchio le molte rughe: invecchiamento da record, traffico, microcrimine, insicurezza sociale, ipertrofia fiscale, costi esorbitanti e, soprattutto, mancanza di qualsiasi ragionamento sul futuro di una città che sembra sempre più senza futuro e senza culle. L’Emilia-Romagna resta e resterà ovviamente ancora a lungo la roccaforte della sinistra, ma con Bologna saranno al ballottaggio Rimini città, le province di Parma e Piacenza, comuni non secondari come Fidenza e Salsomaggiore. Non tutto è scontato, val la pena essere della partita il 27 e non sugli spalti o sul bagnasciuga, tra gli indifferenti.
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