Ds/1. Poco importa se si chiamerà democratico. Quando è comunista, un partito resta tale

La navigazione verso il partito democratico sembra un cammino verso l’ignoto, in cui ogni bagaglio del passato è zavorra da perdere. Secondo Massimo D’Alema, figura chiave della sinistra italiana dopo la fine del Pci, per definire il Pd non basta la parola “socialismo” ma neanche il termine “sinistra”. L’unico aggettivo concesso al Pd è quello che lo definisce. Ma “democratico” oggi non è più una distinzione politica, almeno a livello europeo. È come se il leader che ha costruito la sua carriera politica sulla conservazione di un’identità ritesse ora che ogni identità vada negata, lasciando la futura formazione politica come una pagina bianca in cui tutto deve essere scritto. Paradossalmente questa affermazione è stata fatta di fronte ai segretari delle federazioni dei Ds, e se c’è qualcosa che fa sentire il diessino felice di essere tale è essere inserito nella tradizione politica del comunismo italiano, di avere radici e continuità, di non essere nuovo ma antico. Se un vizio capitale appartiene alla storia comunista, questo è appunto l’orgoglio di essere storia. I postcomunisti sono un partito di tradizione, sentono la propria l’identità al punto tale che possono accettarne la negazione con compiacimento: come una nuova evoluzione che lasci il vecchio Pci così com’è, nella sua pura forma di identità, solo espressa con parole che servono meglio a conservare l’egemonia politica. Come diceva il Gattopardo: occorre che tutto cambi perché tutto rimanga come prima.
Ecco l’animale politico che corrisponde a Massimo D’Alema e al postcomunismo, il gattopardo. È questa singolare capacità del comunismo di conservare la cosa cambiandone il linguaggio, purché vi sia la certezza che il soggetto che lo parla sia lo stesso. Per questo il partito postcomunista è rimasto ciò che era: un’organizzazione fondata su un funzionariato che si pensa totale e perenne. Il diessino sente così di essere parte di una comunità politica che percorre la storia italiana adattandosi ad ogni sua asperità ma conservando la propria identità, il postcomunismo. Un’identità affidata alla memoria: non c’è sicuramente alcun diessino che non senta l’orgoglio di venire dal Pci (e di averne cambiato il linguaggio e la forma, conservandone l’identità). Per questo D’Alema ha molte carte da giocare sul Pd, perché sa che l’identità diessina rimarrà identica a se stessa, anche se dovrà parlare un linguaggio ancora ignoto. La conquista del potere è la vera identità del gattopardo. Il messaggio di Lenin esiste ancora in questo leninismo debole che è il postcomunismo italiano.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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