È dura invocare il rispetto dell’ordine civile quando l’antagonismo è al governo

Non è un caso che all’assassinio di Stefano Raciti a Catania rispondesse, nella rossa Livorno, l’esaltazione della morte dello sbirro: e persino l’accenno a una vendetta per la morte di Carlo Giuliani. Le tifoserie sinora erano iscritte nella categoria politica del fascismo; ma da quando prendono per avversari la polizia e non la tifoseria opposta, appare che un messaggio è passato: il poliziotto è l’avversario in tutti i casi, la violenza tifosa si colora di legittimazione politica. E attaccare i poliziotti diventa parte di una identità, che non è quella che ha i colori della squadra preferita, ma quella della protesta contro di chi costituisce la forza dello Stato.
Non possiamo non ricordare i sassi contro i poliziotti in difesa dei lavori della Tav in Val Susa. Le forze dell’ordine sono la diga umana contro la violenza in cui l’identità è la sola legge. In realtà cos’è il movimento dei movimenti se non una sfida alla legalità iniziata a Seattle nel 2000? Basta leggere l’ultimo libro di Toni Negri, Goodbye Mr Socialism, per vedere teorizzata la violenza della moltitudine, il suo diritto anarchico fatto di mille frammenti, ma tutti legati alla definizione delle identità di gruppo contro l’ordine politico. Bertinotti ha fatto la marcia verso la non violenza dopo che l’aveva apertamente promossa fino alla visita al subcomandante Marcos. La nuova teoria della sinistra antagonista è legata alla sottrazione del consenso di mille frammenti diversi, riuniti contro l’ordine politico fondato dallo Stato.
è singolare che il ministro Giuliano Amato abbia parlato due volte di ritiro delle forze dell’ordine, motivato dall’enorme consumo di cocaina in Italia e da quello delle violenze negli stadi. Al ministro è venuta come prima reazione l’abbandono, forse perché è difficile, per la sua parte politica, motivare il sacrificio degli uomini delle forze dell’ordine divenuti soli, delegittimati dalla cultura alta del paese come ai tempi di Pasolini. Siamo ancora lì, ma il ’68 è al governo e non è un caso che gli autori del ’68, e soprattutto del ’77, siano coloro che hanno fatto una brillante carriera economica, culturale e politica. Proprio il fatto che l’ordine politico da essi attaccato li abbia con tanta facilità assorbiti indica come il sentimento dell’ordine civile sia venuto meno negli spazi culturalmente alti nella società. Negri è un maestro del pensiero e lo Stato batte in ritirata perché non gli è riconosciuto valore o identità nel mantenere l’ordine civile. Torna attuale una frase di Ortega y Gasset degli anni Venti: la “ribellione” delle masse. E chi è più massa di una tifoseria? O di una manifestazione contro la base di Vicenza? bagetbozzo@ragionpolitica.it

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