«È bello vivere perché vivere è ricominciare, sempre, ad ogni istante»

Come sarà la prima ora di lezione dell’anno scolastico? Che diremo ai nostri studenti dopo tre mesi di vacanza? Racconteremo loro le difficoltà, le fatiche, i sacrifici, la mole di studio e i programmi che dovranno affrontare? Se sarà solo così, confermeremo loro quanto temevano, quanto i compagni più grandi hanno spesso anticipato loro, trasmetteremo il messaggio che dal suono della campanella della prima ora di scuola sono entrati in una prigione per uscire dalla quale dovranno attendere il suono della campanella dell’ultima ora dell’ultimo giorno di scuola.

L’anno scorso, nella prima ora di lezione sono voluto partire con un augurio per me insegnante e per i miei studenti. L’augurio che il cammino dell’insegnante e del ragazzo potesse essere una vera esperienza. Da cosa si misura un’esperienza? Dall’esito, dalle delusioni, dai risultati, sì in parte anche da questo, ma soprattutto dal fatto che quanto si vive divenga occasione per essere più uomini e più umani, per capire un po’ meglio la propria persona, la strada e che cosa abbia a che fare quanto viviamo con il nostro desiderio di felicità. Quando fai esperienza davvero, lo capisci, perché guadagni qualcosa di te e della realtà.
L’augurio che la scuola non fosse un luogo di semplice trasmissione di informazioni e di cultura, di disciplina e di discipline, ma fosse un luogo in cui l’io del ragazzo e dell’insegnante si sentisse fiorire, crescere, germogliare nel desiderio di poter scoprire i propri talenti e di metterli al servizio di tutti.

Perché ciò avvenga è indispensabile che si rimetta al centro la persona, che si viva l’avventura dell’insegnamento come scoperta. Sì, scoperta di sé e scoperta dell’altro, scoperta di un cuore che accomuna il ragazzo di dieci o diciotto anni all’insegnante che si avvicina per la prima volta alla cattedra o, viceversa, sta per andare in pensione. L’augurio che si potesse scoprire che studiare è bello e interessante. Aveva ragione Leopardi quando osservava nello Zibaldone che «proporre al fanciullo (per esempio negli studi) uno scopo lontano (come la gloria e i vantaggi ch’egli acquisterà nella maturità della vita o nella vecchiezza, o anche pur nella giovinezza), è assolutamente inutile per muoverlo». Quanto più uno è giovane tanto più si muove per l’hic et nunc, per il qui e ora, per il presente! Ma è possibile che il presente per lo studente non possa essere altro che il voto, buono o scarso che sia? Non c’è altro che possa accendere, spronare, stimolare, muovere?

Allora, proviamo a rispondere alla domanda «perché studiare?» o, meglio, «quando accade che uno studente studia?», cioè, nel senso profondo dell’espressione, affronta l’avventura affascinante della conoscenza. In primo luogo, se lo studente coglie amore e passione nell’insegnante, potrà non capire all’inizio, ma è quasi sempre preso dal fascino della bellezza che l’insegnante ha incontrato e che cerca di comunicare anche agli studenti. In secondo luogo, per quest’avventura dell’incontro occorre qualcuno che ti accompagni, un maestro, che ti prenda per mano, che ti introduca nel percorso dell’incontro con la disciplina. In terzo luogo, è proprio vero quanto scrive Van Gogh in una lettera al fratello Theo: «Sai tu ciò che fa sparire questa prigione? È un affetto profondo, serio. Essere amici, essere fratelli, amare spalanca la prigione per potere sovrano, per grazia potente. […] Dove rinasce la simpatia, lì rinasce anche la vita». Nella prima ora è già contenuto tutto, perché è lì che si nasconde la domanda con cui noi ricominciamo l’avventura scolastica. L’anno scorso un ragazzo mi ha confidato che era la prima volta che un insegnante gli augurava un buon anno scolastico. In quell’augurio c’era già tutto, perché l’alunno si era promesso di non deludermi.

La gioia di un nuovo inizio
Scrive Cesare Pavese nel Mestiere di vivere: «È bello vivere perché vivere è ricominciare, sempre, ad ogni istante». Per tutti, insegnanti e studenti, non è possibile ricominciare, varcare la soglia della classe, incontrare compagni e colleghi, professori e alunni, senza essere animati dal desiderio che possa accadere qualcosa di grande nelle giornate. Questa è la chiave perché tutti, docenti e ragazzi, possano affrontare le giornate animati da quello stesso entusiasmo e da quella trepidazione che provavano il primo giorno di scuola. Altrimenti, come non farsi prendere dalla monotonia, dal cinismo, dal sentimento comune che tanto non cambierà mai nulla?

Tra i corridoi delle scuole e nelle sale riunioni, già nei primi giorni di settembre, si vedono volti stanchi e disillusi, spesso senza speranza. Prima ancora che ai giovani, la speranza manca troppo spesso a noi adulti, che ci nascondiamo poi dietro ai cambiamenti dei giovani, alla loro svogliatezza e alla loro pigrizia. Per noi insegnanti la sfida di un nuovo anno scolastico sia allora quella di domandare che sia rianimato e vivificato quel desiderio di insegnare che avevamo quando abbiamo intuito la nostra strada, la nostra vocazione. La sfida sia che ci si possa aiutare nel sostenere la speranza nell’insegnamento che è poi la speranza nella vita. Come fare allora?

Una modalità può essere quella di incontrarsi periodicamente, con partecipazione libera, con quegli insegnanti che desiderino affrontare assieme l’avventura dell’educazione e ripartire dalla domanda, dal desiderio, dalla speranza. Il metodo è questo: non avere risposte preconfezionate, ma camminare in una compagnia piena di entusiasmo e di desiderio di vita. L’uomo cresce, diventa più vivo e intenso laddove incontra altri uomini che ardono nel desiderio di conoscere e affrontare la vita. In questo modo nasce una compagnia. Così, come una classe di studenti ha bisogno di un maestro, così un gruppo di insegnanti ha bisogno di essere accompagnato nel giudizio sul proprio compito e sull’attività educativa svolta con i ragazzi.

@FigheraGiovanni

Foto scuola Shutterstock

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