È la fede il miglior antidoto contro la psicosi generata dal coronavirus

Articolo tratto dal numero di aprile 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

In mezzo alla psicosi generata dalla dichiarazione di pandemia globale, dovuta alla diffusione del coronavirus o Covid-19, è necessario recuperare il nesso con la realtà, posto che il peggior nemico che abbiamo davanti a una crisi come questa è la fantasia che si crea intorno alle informazioni false che trasformano la realtà in una entelechia totale.

Si ascoltano ovunque teorie della cospirazione al riguardo, che sono più simili a un film di fantascienza che si espande attraverso i social e i mezzi di comunicazione. Senza dubbio, oltre a questo, possiamo affermare che l’umanità certamente attraversa una crisi molto più grave, che è l’assenza di speranza o meglio la mancanza di fede, espressa nella disperazione che molti hanno documentato in questi giorni; senza che implichi il ridimensionare la terribile situazione generata dalla propagazione di questa nuova malattia, che ha creato panico e ha paralizzato le attività sociali in vari paesi.

Come ci suggeriva don Julián Carrón in un articolo pubblicato sul giornale El Mundo in Spagna e sul Corriere della Sera in Italia, la domanda che sorge in questo momento con più potenza di qualunque altra cosa è: «Che cosa vince la paura?».

«Forse l’esperienza più elementare di cui disponiamo in proposito è quella del bambino. Che cosa vince la paura in un bambino? La presenza della mamma. Questo “metodo” vale per tutti. E una presenza, non le nostre strategie, la nostra intelligenza, il nostro coraggio, ciò che mobilita e sostiene la vita di ognuno di noi. Ma – domandiamoci – quale presenza è in grado di vincere la paura profonda, quella che ci attanaglia al fondo del nostro essere? Non qualsiasi presenza. È per questo che Dio si è fatto uomo, è diventato una presenza storica, carnale.

Solo il Dio che entra nella storia come uomo può vincere la paura profonda, come ha testimonialo (e testimonia) la vita dei suoi discepoli. “Solo questo Dio ci salva dalla paura del mondo e dall’ansia di fronte al vuoto della propria esistenza. Solo guardando a Gesù Cristo, la nostra gioia in Dio raggiunge la sua pienezza, diventa gioia redenta” (Benedetto XVI, Omelia, Regensburg, 12 settembre 2006).

Tali affermazioni sono credibili solo se vediamo qui e ora persone in cui si documenta la vittoria di Dio, la Sua presenza reale e contemporanea, e perciò un modo nuovo di affrontare le circostanze, pieno di una speranza e di una letizia normalmente sconosciute e insieme proteso in una operosità indomita». (Lettera di Julian Carròn, El Mundo e Corriere della Sera, 03/2020)

Infatti la fede è il miglior antidoto contro la paura e per allontanare il panico. Così ci testimonia Beppe, mungitore di vacche della provincia di Cremona, una delle zone più colpite dalla malattia nel Nord Italia, per il quale la fede aiuta a vincere la paura. Ma come?

«Io vedo che ci permette di vedere meglio le cose come stanno, ad esempio che occorre essere prudenti in tutto, ma che rimette la paura al posto giusto. Permette che non sia l’ultima parola. E così uno riesce a continuare a fare quello che fa senza bloccarsi» (clonline.org).

Giustamente qualche giorno fa iniziava la Quaresima con il Mercoledì delle Ceneri; il momento in cui la Chiesa non solo ci ricorda che siamo polvere, ma anche ci invita alla carità, che è un compromesso di ogni uomo che riconosce in Cristo il senso ultimo della vita. E la carità si impara praticandola. E quale momento migliore per metterla in pratica di una situazione come quella che stiamo vivendo ora.

L’esortazione dei vescovi del Paraguay

Per altro, gli ospedali nacquero e si espansero a partire dall’esperienza cristiana, inoltre con il cristianesimo si afferma il concetto che la persona è una unità di anima e corpo e per questo si sottolinea il valore della accoglienza, dell’assistenza, dell’ospitalità, dell’amore alla persona in generale e al malato in particolare, che è relazione con il Mistero.

Nel Medioevo cristiano si diede un fondamento etico alla “ospitalità”. Questo termine, che nel mondo antico aveva il valore di obbligo legale nei confronti degli ospiti, con il cristianesimo si trasforma in un servizio da offrire ai più bisognosi, a coloro che soffrono.

Solo gente innamorata di Cristo è capace di dedicarsi al bene comune e al servizio dei più bisognosi con questo sguardo umano. Questo è ciò che manca oggi. Ciò che in questo tempo di crisi e malattia scarseggia non sono i mezzi materiali o economici, ma uomini, politici o medici o infermieri, innamorati di Cristo che siano capaci di trasformare la realtà e rendere questo mondo più umano.

Per questo noi aderiamo all’esortazione dei vescovi del Paraguay, i quali ci invitano a pregare personalmente e in famiglia, elevando il nostro spirito all’incontro di Gesù:

«Guardando la sua croce comprendiamo il dolore di molti ammalati e di coloro che soffrono di tanti mali. Accompagnando la sua passione ci spogliamo della superficialità con la quale a volte viviamo. Desiderando ardentemente la resurrezione ci uniamo a Gesù nella sua vittoria sopra il peccato e sopra la morte. Incoraggiamo il personale medico, gli infermieri e tutti coloro che lavorano presso i servizi sanitari a confidare nella protezione di Dio». (Lettera dei vescovi del Paraguay, 11/03/2020). 

paldo.trento@gmail.com

Foto Ansa

Exit mobile version