Il Deserto dei Tartari

È lotta fra laici e clericali per il matrimonio gay

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Ringrazio i colleghi del Corriere della Sera perché il modo con cui hanno dato la notizia della stipula dell’unione civile fra il sottosegretario allo Sviluppo economico Ivan Scalfarotto e il suo compagno Federico (il cognome non è stato comunicato) ha illuminato in maniera decisiva la mia comprensione del fenomeno della istituzionalizzazione dei rapporti affettivi fra persone dello stesso sesso. Fino a ieri restavo incerto fra le varie ipotesi di spiegazione del perché si voglia imporre all’universo mondo quel grande ossimoro che è il matrimonio omosessuale. Tappa intermedia e necessaria del percorso che conduce all’eliminazione della famiglia tout court, istituzione divenuta obsoleta e non più funzionale alle esigenze di crescita del tasso di profitto dell’economia neocapitalista? Inevitabile esito dell’egualitarismo e del relativismo impliciti nella visione che della realtà ha l’uomo moderno, cioè l’uomo che non accetta gerarchie e che si detta da sé le proprie norme? Istituzione volta a facilitare la marcia verso il post-umano, verso la trasformazione dell’uomo in prodotto ingegneristico (le persone dello stesso sesso potendo procreare solo per mezzo di ausili tecnologici)? Bisogno di riconoscimento e di accettazione da parte delle persone con tendenze omosessuali che la cultura dominante centrata sull’emozione e il sentimentalismo non può rifiutarsi di soddisfare?

In ognuna di queste spiegazioni c’è una parte di verità, ma il mosaico sarebbe rimasto incompleto se non avessi letto titolo e sommario dell’articolo apparso sul Corriere della Sera online del 17 maggio: “Ivan Scalfarotto sposa il compagno. Prima unione civile nel governo”, recita il titolo, mentre il sommario precisa: “A celebrare la funzione sabato a Milano sarà l’assessore comunale Pierfrancesco Majorino”. Definire sposalizio l’unione civile fra Scalfarotto e il compagno Federico è una classica scorrettezza comunicativa che né l’Unar né il ministero per le Pari opportunità, diuturnamente impegnati a sorvegliare il linguaggio utilizzato dai giornalisti quando scrivono di famiglia e di orientamento sessuale, sanzioneranno mai, essendo entrambi gli enti impegnati a reprimere l’omofobia reale o immaginaria, ma non l’uso truffaldino delle parole per promuovere l’agenda politica che prevede l’introduzione anche in Italia del matrimonio fra persone dello stesso.

Ma nel caso dell’articolo del Corriere c’è molto di più: c’è l’assessore Majorino trasformato in sacerdote, poiché, leggiamo, «celebra la funzione». Dunque l’unione civile non è civile, ma religiosa! Non è un simil-matrimonio civile, ma un simil-matrimonio religioso. La sua celebrazione è circonfusa di sacralità. Questa scoperta, di cui sono debitore al Corriere, è stata per me una vera illuminazione. Perché i politici di tanti paesi e ora anche quelli italiani hanno sentito l’esigenza di creare l’istituto del matrimonio fra persone dello stesso sesso? Per poter celebrare questi cosiddetti matrimoni come fossero veri riti religiosi e quindi riappropriarsi del sacro. Dico riappropriarsi, perché dai re sacerdoti sumeri fino a Hitler e Stalin i governanti hanno cercato di identificare in sé potere civile e potere religioso, essendo la religione e il vincolo del sacro i più forti fattori di coesione di una società. I totalitarismi atei e pagani del XX secolo altro non sono stati che religioni in versione secolarizzata: hanno tolto ai loro popoli il Dio cristiano per sostituirlo con altri riti e liturgie di massa, centrate principalmente sul culto idolatrico del capo. Sono riusciti nel loro intento anche perché sapevano bene che gli esseri umani, come singoli e come collettività, hanno bisogno di sottomettersi e sacrificarsi a una entità superiore, che dà senso alla loro vita e alla loro morte. Se non può venerare il Dio vero, l’uomo si dà a un Dio falso, come quello dei jihadisti che compiono stragi con attacchi suicidi in nome di Allah.

La separazione fra potere civile e potere sacro è cominciata molto presto: già la civiltà sumera operò questa distinzione verso la fine del III millennio a.C., ma i tentativi da parte di esponenti del potere politico di ricongiungere nella propria persona le due sfere non sono mai cessati. Giulio Cesare volle essere Pontifex maximus, la più alta carica religiosa dello Stato romano, e dopo la fine della Repubblica i poteri e le funzioni di questa carica passarono nelle mani degli imperatori, fino a Graziano, imperatore cristiano che nel 376 d.C. rinunciò alla carica. Da allora il titolo è riservato al vescovo di Roma. Ma il cesaropapismo di Bisanzio e quello occidentale degli imperatori germanici (gli Ottoni) che dura fino al concordato di Worms rappresentano altrettanti tentativi del potere politico di concentrare su di sé anche il potere sacro. Poteri che nell’islam sono teoricamente concentrati nelle mani di un’unica figura, il califfo, ma che la storia ha provveduto spesso a separare nei fatti: negli ultimi tempi dell’Impero Ottomano quello del califfo era un titolo meramente spirituale, mentre il potere politico e militare reale si trovavano in altre mani.

Ora, tutte le volte che nel corso della storia il potere politico ha cercato di riprendersi il potere religioso per tornare ai re-sacerdoti degli inizi della civiltà sumera, se aveva ancora un po’ di forza il potere religioso ha reagito. La Chiesa cattolica reagì agli Ottoni con Gregorio VII nel secolo XII, reagì alla religione secolare comunista nel XX secolo con l’anticomunismo di Pio XII. E oggi? Come reagisce di fronte ai politici che vogliono istituzionalizzare il matrimonio fra persone dello stesso sesso per potere poi celebrarne il rito in pompa magna (la pompa essendo rappresentata dal battage sui media più che da solennità del rito)? In parte reagisce ovviamente ricordando che al Dio dell’Antico Testamento e al Dio del Nuovo Testamento (Romani 1, 26-32; 1Corinti 6, 9-10; 1Timoteo 1, 9) non è gradito il sesso anale, come pure altre pratiche sessuali perverse. Ma in parte reagisce cercando di strappare ai politici il privilegio di benedire i connubi omosessuali. Cioè facendo concorrenza ai Majorino sul loro stesso terreno. I tentativi di sdoganamento dell’omosessualità attiva, che hanno avuto pieno successo in alcune Chiese episcopaliane, presbiteriane e luterane, si stanno da qualche tempo manifestando anche in vari ambiti e livelli della Chiesa cattolica. Le cosiddette “veglie contro l’omofobia” che si svolgono in questi giorni in decine di parrocchie in tutta Italia sono, al di là delle intenzioni dichiarate ufficialmente, un primo passo del lungo cammino che conduce alla celebrazione in chiesa di cosiddetti matrimoni omosessuali, anche se sicuramente, quando verrà il momento, sarà usata una terminologia diversa per rassicurare i fedeli più preoccupati. In questo modo la Chiesa si riprenderebbe l’esclusiva di ciò che la politica cerca di toglierle.

Nella mente dei progressisti, sia laicisti che clericali, il futuro della religione è già segnato e deciso: andiamo verso una religione universale che assorbirà tutte le religioni storiche in nome di una comune etica globale. L’intellettuale che meglio ha evocato questo futuro è il teologo svizzero Hans Küng nel suo libro Scontro di civiltà ed etica globale. I precedenti fautori dell’unificazione delle religioni proponevano una vera e propria fusione a livello dogmatico e rituale. Per Küng invece le religioni non devono necessariamente rinunciare ai loro dogmi e ai loro riti, ma è indispensabile che accettino i princìpi di un’etica mondiale comune. Come per tutti i veri progressisti, quella che per lui è decisiva è l’ortoprassi, e non l’ortodossia. Anche perché nel tempo le religioni, grazie alla scienza, arriveranno a comprendere che tutte le loro credenze e narrazioni sono mitiche, sono forme simboliche che esprimono verità interiori dell’uomo. Anche le Chiese cristiane arriveranno ad accettare che miracoli, incarnazioni, resurrezioni, ecc. altro non sono che figure della psicologia del profondo (su questo esistono già le opere scritte dall’ex prete e psicanalista Eugen Drewermann nel 1985-86).

Di questa prospettiva Benedetto XVI ha scritto nel suo libro Gesù di Nazaret: «Un punto emerge su tutto: Dio è sparito, chi agisce è ormai solo l’uomo. Il rispetto delle “tradizioni” religiose è solo apparente. Esse, in realtà, vengono considerate come un ammasso di abitudini che bisogna lasciare alla gente, anche se in fondo non contano assolutamente nulla. La fede, le religioni vengono usate a fini politici. Conta solo organizzare il mondo. La religione conta in quanto può essere in ciò di aiuto». Giudizio centratissimo. La traiettoria, tuttavia, è purtroppo quella appena descritta. Una cosa resta in discussione: se a capo della religione unificata ci saranno i re-sacerdoti oppure i sacerdoti-re, i politici oppure il clero. La lotta è appena iniziata. Non è un argomento necessariamente appassionante, ma sembra destinato a fare spettacolo. Una tragi-commedia che chi non si sarà conformato all’andazzo potrà godersi su qualche grande schermo collegato via cavo dalla sua catacomba.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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