E qui casca l’Asenello

Di Rodolfo Casadei
08 Settembre 1999
Un’inchiesta giornalistica anglosassone provoca la riapertura in Italia di una vecchia indagine sull’ASE, una società di consulenze di proprietà dei coniugi Prodi, proprio alla vigilia del voto del Parlamento europeo sulla Commissione presieduta dall’ex primo ministro italiano. E si torna a parlare della controversa privatizzazione della Bertolli, finita nella mani della Unilever proprio quando Prodi, già suo direttore consultivo, era diventato presidente dell’IRI

Doveva essere una passeggiata, un pro forma bis dopo quello del maggio scorso, quando il vecchio Parlamento Europeo aveva approvato a larghissima maggioranza la sua designazione a presidente della nuova Commissione Europea e i nomi dei 19 commissari da lui scelti. E invece l’appuntamento di Romano Prodi con un “grande comitato” del nuovo Parlamento Europeo previsto per martedì 7 settembre rischia di diventare uno spietato dies irae. Se l’esito dell’esame non sarà soddisfacente, infatti, il successivo 15 settembre il Parlamento potrebbe respingere la sua designazione e mandare a gambe all’aria l’intera Commissione. A trasformare in una salita insidiosa quella che doveva essere una semplice passerella ha contribuito in maniera decisiva la notizia della riapertura delle indagini, da parte della Procura di Bologna, su di una società di consulenze di proprietà dei coniugi Prodi: la ASE, Analisi e Studi Economici s.r.l. Di essa la magistratura bolognese si era occupata brevemente nel 1996, archiviando l’inchiesta nel giro di tre settimane.

La campagna del Daily Telegraph Ora la vicenda si riapre, e proprio nel momento meno opportuno per Prodi: l’imminenza del voto di gradimento da parte del Parlamento Europeo. A precipitare l’intervento dell’ordine giudiziario è un’inchiesta giornalistica, ma – e qui sta la cosa curiosa – non di origine italiana. Il Daily Telegraph, il più diffuso quotidiano di qualità britannico con 1 milione e 100mila copie vendute, è riuscito in un’impresa non da poco: provocare una mezza sollevazione degli eurodeputati non di sinistra, che hanno preteso la convocazione di Prodi da parte di un comitato parlamentare ad hoc prima di mettere ai voti l’approvazione della sua designazione e risollevare l’interesse della magistratura italiana sulle attività di consulenza del professore bolognese.

A questo risultato sono approdati una mezza dozzina di articoli apparsi fra la fine del marzo scorso, una settimana dopo la designazione di Prodi a presidente della Commissione da parte del trio Blair-Schroeder-Jospin, e il 20 agosto. Cos’hanno scoperto gli inglesi sulle vicende più controverse della saga Prodi che già la stampa italiana non avesse evidenziato? Niente, secondo il professore, che in un’intervista ha dichiarato anche che l’ultimo articolo della serie era “copiato parola per parola da un articolo del Giornale”. Ma forse non è così, se i prudenti magistrati bolognesi hanno deciso di riaprire il fascicolo delle indagini. In realtà il Daily Telegraph ha certamente rispolverato vecchi dossier già dibattuti, come quello relativo alla privatizzazione della Cirio-De Rica-Bertolli, ma ha anche portato elementi nuovi all’attenzione del pubblico. La vicenda della discutibile privatizzazione del grande gruppo alimentare pubblico (proprietà IRI) è notissima: sulla sua svendita per 310 miliardi di lire, contro un valore presunto oscillante fra i 600 e i 900 miliardi secondo il Credito Italiano, pari a 710 miliardi secondo la perizia del team di contabili nominata dal Pubblico Ministero dell’indagine, sono stati versati fiumi di inchiostro. Anche perché la frazione più succulenta del gruppo, cioè la Bertolli, è finita nelle mani della multinazionale anglo-olandese Unilever, che notoriamente aveva nel suo libro paga Romano Prodi come direttore consulente. Alle polemiche Prodi ha sempre risposto sventolando il proscioglimento in istruttoria deciso, contro il parere del PM Geremia, dal giudice Landi, dove si afferma che la privatizzazione era avvenuta in modo “interamente conveniente non solo in generale, ma anche per l’IRI”, sottolineando che al tempo dell’operazione non aveva più alcun rapporto con l’Unilever e protestando che non poteva prevedere che ad acquisire la Bertolli sarebbe stato il suo ex datore di lavoro.

“Prodi non poteva non sapere”
Proprio su questo punto il Daily Telegraph smentisce Prodi e dà ragione al PM Geremia, la quale voleva rinviare a giudizio il professore sostenendo che fin dall’inizio tutta l’operazione era stata congegnata proprio per favorire l’Unilever, oltre che la Fi.Svi., la misteriosa finanziaria sorta dal nulla per acquistare il gruppo alimentare dell’IRI con soldi che – si saprà poi – non erano suoi, ma dell’Unilever. “Prodi aveva rassegnato le dimissioni dall’Unilever nel maggio 1993, nello stesso giorno in cui aveva occupato per la seconda volta il suo posto di presidente dell’IRI – ha scritto il Daily Telegraph -. A quel tempo l’Unilever era già interessata alla Bertolli. Egli era passato dalla sponda acquirente dell’affare a quella venditrice senza, a quanto si dice, giustificarsi o notificare la cosa al consiglio dell’IRI. Prodi ha dichiarato che non era consapevole che il suo modo di privatizzare il gruppo avrebbe consegnato la Bertolli nelle mani dei suoi ex datori di lavoro dell’Unilever. Ma alcuni documenti dell’inchiesta suggeriscono diversamente. Essi mostrano che Unilever, Fi.Svi e IRI tennero delle riunioni prima della transazione. Le minute degli incontri del consiglio dell’IRI, benché incomplete e in alcuni casi pare aggiustate, secondo l’investigazione Castaldo (dal nome dell’esperto di contabilità nominato dal PM Geremia – ndr), sono estremamente rivelatrici. Esse stabiliscono che il ruolo dell’Unilever nella transazione doveva essere mantenuto “invisibile”.

Documenti raccolti dalla polizia italiana dagli uffici milanesi dell’Unilever mostrano intense comunicazioni sull’argomento. Un pro memoria dalla sede londinese della Goldman Sachs (la banca americana incaricata dalla Unilever di mediare l’affare) alla sede milanese dell’Unilever, datata 24 agosto 1993 e contrassegnata “strettamente confidenziale”, analizza in profondità l’affare e stabilisce sotto la rubrica Prossimi Passi: “Fi.Svi. chiamerà Prodi al fine di avere pieno sostegno in questa discussione con Unilever”. Benché non appaia nessuna violazione di legge da parte dell’Unilever, i documenti mostrano che l’impresa era molto attenta ad occultare il suo ruolo nell’operazione. Una nota datata 25 novembre 1993 dice: “Strettamente Privato – il triangolo IRI/Fi.Svi./Unilever è in una delicata situazione di contatti ‘non ufficiali’”. I legali di Prodi sono stati abili nello spostare l’interesse della stampa italiana dalla questione se Prodi abbia colluso con la Fi.Svi. in uno sporco affare e abbia mentito su di esso, al tema più nebuloso del prezzo della vendita”.

Perché non ha dichiarato la proprietà dell’ASE?

Il Daily Telegraph attira poi l’attenzione su alcuni aspetti inquietanti del versante prettamente giudiziario della vicenda: fa sapere che Giuseppa Geremia, il PM che aveva inutilmente richiesto il rinvio a giudizio di Prodi, è stata “promossa” da Roma alla Sardegna (promoveatur ut amoveatur, dicevano i romani), e che all’inviato del giornale è stato impossibile ottenere copie del pronunciamento di proscioglimento di Prodi: “Al Telegraph è stato negato l’accesso a tutti i documenti del caso da parte delle autorità giudiziarie romane, inclusa la decisione del giudice. Un velo di segretezza è stato steso sul caso”. Più recentemente il Telegraph ha sollevato il caso dell’ASE. Per quanto riguarda questa società di consulenze la colpa di Prodi starebbe nel non averla dichiarata fra i suoi interessi economici all’atto dell’insediamento a presidente dell’IRI nel ’93 e a presidente del Consiglio nel ’96. E la cosa susciterebbe sospetti soprattutto per due motivi: il notevole importo degli introiti (1,4 milioni di sterline fra il ’90 e il ’93, asserisce il Telegraph) e la presenza, fra i clienti della società, della Goldman Sachs, impegnata proprio in quel periodo come consulente della Unilever nell’acquisizione della Bertolli dall’IRI presieduta da Prodi. “La compagnia non è stata dichiarata come interesse finanziario durante il mandato di Prodi come presidente dell’IRI e poi come primo ministro. La lista dei suoi interessi dichiarati nel 1993 include una comproprietà nel castello di famiglia a Carpineto, comproprietà in altre otto case ed edifici, un’Audi 80 vecchia di un anno, e un mix di azioni bancarie. Ma evita di rivelare la sua proprietà dell’ASE, in violazione dell’articolo 14 del codice che regola il servizio dei pubblici ufficiali italiani… Significativamente, l’ASE non ha pagato dividendi nei cruciali anni 1993 e 1994, quando Prodi era al governo, cosicchè egli non ha dovuto dichiararli nella dichiarazione dei redditi per quegli anni. Parte del denaro è stato trasferito a un’altra compagnia di nome Aquitania, che ha investito i fondi in proprietà bolognesi”. Insomma, pare proprio che Prodi faccia di tutto per rendere invisibile l’ASE, così come nello stesso periodo l’Unilever cercava di rendersi invisibile nella trattativa Bertolli.

Lo spettro di Santer Per difendersi da queste accuse Prodi ha pubblicato un testo di chiarimenti presso un sito Internet dell’Unione Europea. Il succo delle spiegazioni consiste nella negazione di qualsiasi infrazione: “L’attuale legislazione – si legge su Internet – richiede di fornire dettagli su qualunque cambiamento nelle proprietà e nei redditi durante ogni anno. Dal momento che la misura della partecipazione di Prodi all’ASE è rimasta immutata e la compagnia non gli ha versato nessun profitto come proprietario fino a tutto il 1997, non c’è mai stato bisogno di dichiarare la proprietà dell’ASE. Durante questi anni la società non ha distribuito dividendi agli azionisti, ma li ha collocati nelle riserve della compagnia per provvedere supporto finanziario per future attività”. Ma se questa è l’interpretazione giusta della normativa vigente, non si capisce che bisogno c’era di dichiarare la comproprietà del castello di Carpineto e tutto il resto. O no?

Sia come sia, a causa della campagna di stampa del Daily Telegraph la carriera politica di Prodi si trova a un passaggio cruciale. L’autorità giudiziaria potrà ben sciogliere qualunque dubbio sulla liceità dei comportamenti del professore, ma questo agli europarlamentari potrebbe non bastare: l’eccessiva disinvoltura nella gestione di una questione delicata come una privatizzazione e i giochi di prestigio che fanno sparire e riapparire una società di consulenze benedetta da succosi proventi (anche se Prodi documenta di avere incassato attraverso l’ASE “solo” 2 miliardi e 700 milioni fra il ’90 e il ’93, che sono meno degli 1,4 milioni di sterline asseriti dal Daily Telegraph), potrebbero far ritenere inadatto Romano Prodi per un ruolo che, dopo le clamorose dimissioni della vecchia Commissione Europea per gli abusi di alcuni commissari, esige personalità al di sopra di qualunque critica e sospetto. Un grigio gentiluomo come Jacques Santer è stato fatto fuori per molto, molto meno.

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