Cosa c’è là fuori che ancora non abbiamo scoperto?

Individuata sui Monti Ciclopi una specie di echidna che si credeva estinta. Sulla Terra si stanno trovando meraviglie che sarebbero rimaste tali anche se non viste da nessuno. Usciamo, la sovrabbondante cascata dell’essere ci aspetta

Un’immagine dell’echidna dal becco lungo di Attenborough, animale creduto estinto e ritrovato sui Monti Ciclopi in Indonesia © Cyclops Expedition 2023

Cos’altro c’è là fuori che non abbiamo ancora scoperto? Bella domanda, non retorica.  Se la sono posta alcuni ricercatori di Oxford durante una recente spedizione sui Monti Ciclopi in Indonesia. Come raccontato dalla BBC «per raggiungere le altitudini più elevate gli scienziati hanno dovuto scalare strette creste di muschio e radici di alberi – spesso in condizioni di pioggia – con scogliere a strapiombo su entrambi i lati. Due volte durante la loro ascesa le montagne sono state colpite da terremoti».

Immersi in un contesto naturale meravigliosamente ostile, si sono imbattuti in una scoperta entusiasmante: l’echidna dal becco lungo di Attenborough. Si credeva che quest’animaletto esteticamente curioso fosse estinto, invece passeggiava libero e felice in quel remoto ritaglio terrestre. Le echidne comparvero sulla terra al tempo in cui i dinosauri erano ancora vivi e vegeti, per questo sono chiamate «fossili viventi». Imbattersi in un esemplare non imbalsamato dev’essere stato stupefacente. Ma c’è di più. Nel corso della scalata ai Monti Ciclopi i ricercatori di Oxford hanno avvistato dozzine di specie d’insetti mai viste e un tipo completamente nuovo di gamberetti arboricoli. «Eravamo così eccitati perché dicevamo sempre: “Questo è nuovo, nessuno l’ha visto”, o “Oh mio Dio, non posso credere che lo sto vedendo”. È stata una spedizione davvero monumentale».

L’echidna, la manta rosa e lo scoiattolo gommoso

Cos’altro c’è là fuori che non abbiamo ancora scoperto? Anche solo citando pochi altri episodi recenti, ci si rende conto che non abbiamo neanche lontanamente finito di conoscere l’esuberanza vegetale e animale ospitata sul pianeta Terra.

Nel 2020 Il fotografo Kristian Laine si è imbattuto per puro caso in un esemplare di manta rosa nella barriera corallina australiana. Ne esistono al massimo dieci e si sa della loro esistenza solo dal 2015. Nel marzo del 2022 è stato ritrovato il relitto della nave Endurance, sommersa sul fondo del mare d’Antartide nel 1915. Nell’esaminare i filmati girati per documentare la scoperta, la biologa marina Katrin Linse ha notato una strana creatura bianca abbarbicata vicino a uno degli oblò della nave. Era una specie di aragosta mai vista prima. E nel maggio di quest’anno oltre 5 mila nuove specie marine sono state scoperte a 6 mila metri di profondità in un’area dell’Oceano Pacifico tra le Hawaii e il Messico, durante una ricognizione per l’estrazione mineraria in acque profonde. Tra queste migliaia di creature sottomarine sono state notate delle spugne carnivore e uno strano essere gelatinoso che è stato chiamato «scoiattolo gommoso».

Meraviglie che sarebbero rimaste tali anche se non viste da nessuno

Fuori è magnifico, proprio come cantava qualche anno fa Fedez. Più che un contraccolpo emotivo, è un dato di realtà: magnifico vuol dire «che si mostra grande, che è stato fatto grande». La consapevolezza di questa eccedenza corrobora l’entusiasmo di una conoscenza affacciata sul mistero vivo in cui siamo immersi, ma invita anche a una rinnovata rivoluzione copernicana rispetto a certi assunti consolidati.

Il mito della visibilità, ad esempio. Sugli impraticabili Monti Ciclopi, nella barriera corallina australiana, a bordo di relitti sprofondati, nei fondali oceanici ci sono meraviglie che sarebbero rimaste tali anche se l’occhio umano non le avesse scoperte. È più che sicuro che in certi cantucci delle foreste vergini ci siano fioriture che manderebbero in tilt i trend di Instagram e che non vedremo mai. È un criterio folle, rispetto all’imperante dictat di esibizionismo commerciale. Lo stupefacente dovrebbe stare in bella vista, altrimenti a che serve?

Eppure, se ci tocca nel vivo, sentiamo l’amaro in bocca di fronte alla riduzione del valore di una presenza alla sua utilità. È un abbaglio che inaridisce, proprio perché prosciuga la linfa del magnifico (del di più gratuito, non richiesto). A Giobbe prostrato da ogni forma di tribolazione, il Signore nel turbine snocciola domande strane: «Chi ha elargito all’ibis la sapienza?». Il padre del mondo risponde agli interrogativi sul male con una processione lunghissima di animali. Gli rovescia addosso l’essere. L’esistenza nel suo nudo dato, avulsa da criteri riduttivi che si arrogano il diritto di dividere le creature in risorse e scarti, è l’osso durissimo della nostra origine.

Il folle criterio della Creazione

Nel folle criterio della Creazione la straordinaria manta rosa se ne sta defilata dai riflettori, una bellezza inutile che semplicemente c’è. Laggiù, da qualche parte. Perché mettere uno scoiattolo gommoso nei fondali marini? Perché tra i recessi inospitali dei Monti Ciclopi passeggia un’echidna e un gamberetto s’arrampica sugli alberi? 

«La creatura è tutta una pupilla sull’aperto», sintetizzò benissimo Rilke. L’occhio ha ancora tanto da guardare, ed è motivo di slancio – come avvertito con entusiasmo dai ricercatori di Oxford – ma è anche motivo di pacata serenità. Possiamo rallentare le elucubrazioni. Possiamo evitare di sovraccaricare la nostra ansia da prestazione, quel fremito nervoso che associa la scoperta a qualcosa di straordinariamente nuovo, clamoroso, inimmaginabile che deve per forza uscire da una spremitura di meningi. Fuori dall’ebollizione dei nostri cervelli è magnifico. La sovrabbondante cascata dell’essere ci aspetta. Esci, fai una passeggiata, guarda.

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