
Educare è rischiare
Bologna. Sono più di mille ad ascoltarlo nel silenzio dell’Aula Magna di Santa Lucia. Soprattutto loro: l’allievo «strano», il filosofo della scienza Giulio Giorello «di famiglia agnostica e matrice calvinista, un po’ nervosa nei confronti dei cattolici», Giuliano «l’apostata» Ferrara, che della difesa giornalistica di realtà e ragione ha fatto il cardine di ogni «ateo devoto», e Giancarlo Cesana, che è «partito da ciò che c’è e dopo trent’anni sono ancora qui». Ad ascoltare i sette minuti conclusivi di una conferenza del 1985, ascoltare don Luigi Giussani esortare al rischio educativo, oggi più che allora, «sperando contro ogni evidenza». Dove è la persona, dove la tradizione è resa coscienza e tradotta in proposta dall’esito «abbandonato sulla soglia della libertà», qui è l’impegno «indefatigabile» dell’educatore invocato da Giussani 20 anni fa e che oggi vive un’emergenza. Perché, introduce Elena Ugolini, preside del liceo Malpighi e animatrice del progetto “Bologna rifà scuola”: «Non è mai successo che una generazione non comunicasse più nulla di positivo all’altra». Oggi succede, e questa considerazione che ha unito una cinquantina di uomini di pensiero nell’Appello sull’educazione a dicembre trova d’accordo un filosofo, un giornalista e un medico. A Bologna per dare le ragioni dell’urgenza di aderire a quell’impegno «indefatigabile» che portò Giussani a scrivere Il rischio educativo.
ATTUALITà DELLA SFIDA DI GIUSSANI
Giussani ricordava sempre a Cesana che il richiamo morale non basta: educare è introdurre alla realtà, alla «capacità attraverso cui l’esperienza di un particolare mette in relazione col tutto»; «oggi “educazione” è una forma minore di psicologia, mentre educare è un rischio che si scatena in un doppio “mistero”, qualcosa che si vede ma non si possiede: la verità e la libertà». Giorello, che pure non rimpiange «quelle ore a scuola; Giussani non mi ha mai convinto», e però stimava il prete brianzolo per quella «tensione tra la grande passione dell’umano e l’insofferenza a tutti i vincoli che tendono a controllarla», per l’importanza del fatto educativo «incarnato nel rapporto personale» e il richiamo alla struttura originaria («il mio cuore è anche il tuo cuore»). Ferrara s’è appassionato per l’idea del «rischio come criterio dell’educazione: il colmo della modernità!». La modernità di una madre che scrive al Foglio che la figlia a scuola studia “educazione all’affettività” con tanto di psicologo e ginecologa. «è un’ affettività intesa con duplice rischio: prendersi malattie e rimanere incinta».
A questa modernità come rispondere? Il relativista si accorda all’io di Giussani citando Geymonat: «La soggettività è un bisogno disperato di sincerità che sento dentro di me». Il laico riconosce persa la battaglia contro la tradizione: «La differenza tra il laicismo e la Chiesa è la stessa che c’è tra una fabbrica di subcultura e una cultura». Il ciellino cita Eliot: «Il tempio per esser costruito deve essere abbattuto».
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