Oggi alle 13, ovvero a quarantotto ore dal voto per le elezioni amministrative e nell’ultimo giorno di campagna elettorale, sarà ufficializzata la famigerata “lista degli impresentabili”. Una trovata della commissione parlamentare Antimafia di cui si è fatto un gran discutere sui giornali in queste settimane e di cui la presidente della commissione Rosy Bindi sembra andare molto fiera. Naturalmente l’elenco è attesissimo soprattutto da quella parte della stampa che – diciamo così – dimostra abitualmente una certa intimità con le procure italiane: nei giorni scorsi, a lista ancora “aperta”, diverse testate nazionali hanno fatto a gara nel mettere alla berlina i presunti “impresentabili” che potrebbero esservi inseriti.
LO SLITTAMENTO SEMANTICO. Ma attenzione, osserva oggi in un articolo per il Foglio Massimo Bordin, storica “voce” di Radio Radicale, da sempre attentissimo ai temi della giustizia: in questa idea «voluttuosa» (soprattutto per i giornali e per i loro lettori in indignazione permanente effettiva) si nasconde un «inghippo» assai pericoloso. «Il cuore della questione – scrive Bordin – non sta nella procedura ma nella semantica», e precisamente «nel significato di una parola: “Impresentabili”». Perché «“impresentabile” è quasi un sinonimo di “incandidabile”», ma la legislazione italiana già prevede i casi di incandidabilità (vedi per esempio la legge Severino), dunque qui «con un leggero e decisivo slittamento semantico la presentabilità diventa un criterio soggettivo e così si svincola dalla legge pur facendola supporre».
GIUSTIZIALISMO «GROTTESCO». Secondo Bordin continua così «il dramma senza sbocchi della nostra politica», iniziato quando alla battaglia parlamentare ed elettorale i “rappresentanti del popolo” hanno deciso di sostituire «una logica secondo la quale “costui non può fare quello che sta facendo ai sensi del comma vattelappesca della legge non so quale”. E spesso il richiamo ai codici non è molto più puntuale e pertinente». Per altro con la trovata di Rosy Bindi questa logica «diventa grottesca», perché, appunto, «la commissione parlamentare vaglierà posizioni di candidati evidentemente già in regola con la normativa vigente in merito alle candidature. Dunque il suo sarà un criterio soggettivo basato sulla storia giudiziaria dei candidati. Vuol dire che nell’elenco tanto atteso ci saranno assolti e prescritti, oltre che solo indagati».
IL CASO DEL “FIGLIO DI ASSOLTO”. Bordin segnala in proposito il «caso davvero singolare» che secondo alcuni organi di stampa potrebbe finire nel libro nero della commissione Antimafia, e cioè un candidato di una lista che sostiene Vincenzo De Luca per la presidenza della Campania «il cui padre è stato processato come prestanome di uno degli Schiavone, i capi dei casalesi. Solo che è stato assolto». Nota l’ex direttore di Radio Radicale: «Una commissione parlamentare che il giorno prima delle elezioni inserisse quel nome in un elenco di “impresentabili” con la qualifica di figlio di assolto, dovrebbe dare da pensare». Naturalmente da parte degli estensori del controverso elenco «si tratta di un parere», concede Bordin, «ma una commissione parlamentare che si inserisce in quanto tale, se non nella preselezione dei candidati come fanno gli imam iraniani, a conclusione della campagna elettorale sulla loro votabilità, non si era mai vista».
LA LEGGE DELLE PROCURE. E ancor più preoccupante, se possibile, è che la lista dell’Antimafia di Rosy Bindi non è elaborata sulla base di sentenze raggiunte alla fine di giusti processi (questi casi, come detto, sono già regolati dalla legge vigente), bensì esclusivamente sulla base di materiale elaborato dalla pubblica accusa. Dunque d’ora in poi «basta una indagine avviata o un ricorso contro una assoluzione» per essere marchiati come “impresentabili”? Se è così, diventa forse insufficiente parlare, come fa Bordin, di «enorme potere delegato alle procure». La sottomissione è totale.
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