Elogio laico di un cardinale raffinato

Dice il detto latino “ne sutor supra crepidam”, e dunque al laico che legge e rilegge col cuore per metà dolente e per metà gioioso le conferenze di don Luigi Giussani non tocca esprimere giudizi sull’operato pastorale di sua eminenza Camillo Ruini. Né patrocinare cause nel totonomine del suo successore, come fa da mesi certa stampa per la quale la Chiesa italiana è buona solo se si fa stampella di certa politica. Ma ora che il mandato di Ruini è giunto al termine, eccome se son pronto a darla, un’opinione motivata su come la “sua” Conferenza episcopale italiana ha operato nel dibattito pubblico nazionale. Con il suo “progetto culturale”, Ruini si è candidato a qualcosa di molto più raffinato di ciò che un tempo animò il cardinale Ottaviani. Non è stata battaglia per un fronte politico contro un altro, tanto è vero che non si è vista alcuna riedizione dei comitati civici anticomunisti di Gedda. E chi scambia con quelli il comitato Scienza e Vita, con tutto il rispetto, è un somaro. Venuto meno il partito unico dei cattolici, nel travaglio prima e nella crisi poi dell’incompiuto e scazonte bipolarismo italiano, Ruini ha intuito la possibilità di tornare a levare sui temi cari alla Chiesa italiana una voce più libera e meno frenata dai condizionamenti politici. In altre parole, la Cei ha saputo interpretare il sistema italiano assai più callidamente di quanto lo abbiano fatto gli stessi attori politici, nonché quasi tutti i cosiddetti “portatori d’interessi”, che difficilmente hanno saputo scindere il proprio ruolo da collateralismi più o meno evidenti e più o meno perdenti, viste le alterne fortune di una Confindustria altalenante dal centrodestra al centrosinistra, con tanto di crisi interne per l’una e per l’altra scelta (e non me ne vogliano i credenti, se paragono la Cei a Confindustria: è solo per capirsi, senza mischiare sacro e profano). Si vede proprio, purtroppo, che alla politica italiana mancano, in un campo e nell’altro, gli Scelba e i De Gasperi, i Craxi e gli Spadolini, i Togliatti e i Bufalini, insomma l’eterogenea generazione dei grandi della Prima Repubblica, capaci di interpretare le mosse d’Oltretevere secondo criteri diversi da quelli della pura contrapposizione degli opposti oltranzismi.
In tali condizioni, era ovvio che l’attuale legislatura nascesse con un problema di valori cattolici riposti al centro dell’agenda, e Romano Prodi – ma non solo lui, nel centrosinistra – ha commesso un errore capitale sottovalutandolo coi Dico. Credere che tutto ciò venga liquidato e superato dalla Cei con una conta politica, significa solo che molti laici continuano a non capire la finezza di quanto messo in cantiere da Ruini in questi anni. Pensare solo alle punte politiche dell’iceberg, alla professoressa Binetti o ai “teodem”, significa non capire quanto dalle Acli all’Azione Cattolica, dall’Agesci alla Coldiretti, dalla Comunità di Sant’Egidio alla Focsiv e alla Fondazione Toniolo, decine e decine di associazioni e movimenti, volontariato e cooperative, associazionismo ecclesiale e organizzazioni cristiane abbiano ritrovato nel “progetto culturale” il modo di riavvicinare e coordinare le diverse esperienze dell’associazionismo cattolico nel nostro paese. Nella consapevolezza che superare le divisioni e diffidenze del passato dà ai temi cattolici una presa assai maggiore nella vita italiana, come si è visto. Scusate se è poco, come bilancio di una presidenza Cei che ha usato le armi dei laici meglio di loro, per tornare ad affermare la centralità del proprio messaggio.

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