La preghiera del mattino

Errori e omissioni dei sindacati e del Pd nella battaglia sul lavoro

Elly Schlein e Maurizio Landini alla protesta a Bologna contro le politiche sul lavoro del governo Meloni
La segretaria del Pd Elly Schlein e il segretario generale della Cgil Maurizio Landini alla protesta contro le politiche sul lavoro del governo Meloni, Bologna, 6 maggio 2023 (foto Ansa)

Sul Sussidiario Giuliano Cazzola scrive: «Il governo spagnolo è molto fiero di quanto è stato disposto in proposito nella recente riforma del lavoro, a seguito di un periodo di negoziazione che ha coinvolto tre ministeri, le parti sociali e in certa misura anche la Commissione europea, e che si è protratto per oltre un anno a causa delle interruzioni derivanti dall’emergenza pandemica. È stata la Commissione europea a esigere dal governo spagnolo una significativa riduzione della “precarietà” minacciando, altrimenti, di bloccare la rata dell’ex Recovery fund. Infatti, secondo i dati ufficiali dell’Ine, in Spagna oltre il 25 per cento dei lavoratori ha contratti a tempo determinato (con percentuali molto più alte nelle attività legate al turismo e nelle costruzioni) e il tasso di disoccupazione è tra i più alti in Europa: il 14,57 per cento nel terzo trimestre, sul totale della popolazione attiva, e il 31,15 per cento tra i giovani con meno di 25 anni che faticano a trovare protezioni contrattuali. Un rapporto di lavoro non va giudicato solo per come si forma, ma anche per come si risolve. In Italia esistono norme a tutela del lavoratore licenziato illegittimamente che in Spagna si sognano. Al di là delle procedure previste, il principale elemento di differenziazione tra i diversi modelli di licenziamento individuale è rappresentato dalla disciplina delle sanzioni per il licenziamento illegittimo: tutela reale con reintegrazione o tutela obbligatoria con il solo indennizzo di risarcimento. Le regole, a seconda delle fattispecie, oscillano, nei diversi paesi, tra queste due forme di garanzia. Ma, in generale, il licenziamento discriminatorio è considerato nullo. Quelli vigenti in Spagna, Stati Uniti e Regno Unito sono i sistemi che, anche in caso di licenziamento discriminatorio, consentono al datore di lavoro di optare per l’indennizzo in luogo della reintegra. Un indennizzo che, in Spagna, non è determinato dal giudice che dichiara illegittimo il licenziamento, ma è ragguagliato all’anzianità di servizio. E pertanto ha un “costo” prevedibile. Inoltre – come ha ricordato Gianfranco Polillo su Formiche – “in Spagna il tasso di disoccupazione, specie giovanile, è tra i più alti a livello europeo. Gli ultimi dati parlano di una cifra complessiva che supera il 13 per cento. Tre anni fa era addirittura superiore al 15. A marzo, per fortuna, si è verificato un calo pari a poco più di 45 mila unità. Ancora troppo poco. In Italia, invece, il tasso di disoccupazione è pari a poco più della metà (7,8 per cento). In un anno il numero dei disoccupati è sceso di oltre 290 mila unità”. Poi va sottolineata l’inversione del trend che ha visto, nel 2022, una crescita dei flussi dei contratti a tempo indeterminato, a fronte di una diminuzione di quelli a termine. “Se questo significa voler ‘governare contro lavoratori e lavoratrici’ – ha aggiunto Polillo – solo allora, Yolanda Diaz, oltre ad un pizzico d’invidia, avrebbe ragione da vendere”. Poi anche per quanto riguarda la copertura contrattuale, l’Italia con l’85 per cento dei lavoratori se la passa un po’ meglio della Spagna (al 73,2). Da notare che il governo Sánchez ha cambiato anche la gerarchia dei livelli contrattuali riconsegnando il primato alla contrattazione di settore, mentre in precedenza il modello spagnolo si caratterizzava per la contrattazione decentrata e di prossimità. Vedremo gli effetti sulle retribuzioni».

Sia Cazzola sia Pietro Ichino (quest’ultimo ha scritto in questo senso una nota sul lavoce.info) sono critici dei provvedimenti presi dal governo Meloni sul lavoro, ma invitano i sindacati a non fare polemiche infondate e a non vantare un “modello spagnolo” che su molti punti è ben più indietro di quello italiano sulle questioni di lavoro e disoccupazione.

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Su Startmag Marco Dell’Aguzzo scrive: «In Italia, ha proseguito Bricco, “si è prosciugata la struttura delle grandi imprese”: “Se si toglie Leonardo-Finmeccanica e si toglie Eni, abbiamo pochissima roba. Noi non possiamo pensare di andare avanti con le medie imprese internazionalizzate che andavano bene ai tempi della globalizzazione, o con i produttori dei fantastici Barolo e Brunello […]. È un problema di radicamento nella realtà e nel futuro”».

In realtà per comprendere le difficoltà di un politica attiva del lavoro e anche per capire le particolari difficoltà del movimento sindacale si deve partire dalla questione fondamentale della crisi della grande industria che indebolisce tutto il comparto produttivo con la mancanza di punti alti di ricerca e sperimentazione, indebolisce gli imprenditori che hanno meno peso politico e i sindacati che non hanno più una base solida per le loro vertenze. In questo senso andrebbero rilette le critiche di Bruno Trentin agli ex Pci (e il più colpevole è senza dubbio Massimo D’Alema, cioè quello più consapevole di quel che stava succedendo, ma incapace di un’iniziativa all’altezza dei tempi) che agli inizi degli anni Novanta per sopravvivere accondiscesero a una politica industriale (terminata nella sciagurata politica di privatizzazioni cosiddette alla EltsinProdiMenem) che alla fine produsse il risultato di decapitare la coscienza politica e sindacale di tanta parte del movimento dei lavoratori.

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Su Affaritaliani Luigi Sbarra dice: «La distinzione tra rappresentanza sociale e politica resta un valore assoluto e non negoziabile del nostro fare sindacato. La Cisl ha sempre giudicato i governi in base alle loro scelte e non dal colore politico».

Un onesto dirigente sindacale sottolinea una questione fondamentale ma non proprio originalissima, cioè che il movimento sindacale deve lottare per negoziare e non per aiutare questo o quel partito. E appare così un gigante del pensiero rispetto alla deriva presa dal duo LandiniSchlein.

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Su Huffington Post Italia Giampiero Mughini scrive: «Le mie giornate con Maurizio e Marcella, i genitori, e Giuliano e Giorgio, i figli. Quest’ultimo, morto ieri, era morbido e lieve al tocco, e come tutti loro animava la migliore borghesia italocomunista, in cui il buon vino e buoni libri sono più importanti dell’aria».

La morte di un prezioso intellettuale e una splendida persona come Giorgio Ferrara ci racconta come una parte essenziale della civilizzazione italiana nella vita repubblicana è stata garantita anche dai comunisti togliattiani. Naturalmente oggi non si può non cogliere tutte le contraddizioni del processo storico che ha vissuto l’Italia, ma per chi si sforza di capire, e non solo di sputare sentenze più o meno social, la nostra storia nazionale va valutata in tutta la sua articolata complessità.

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