
Per esempio, Rimini
Per esempio, al Meeting ho imparato che tremila persone che applaudono Cesare Romiti in sala 1 sono “il popolo del Meeting che osanna entusiasta le parole dell’ex amministratore della Fiat” con cui si può “aprire” il giornale e che seimila persone in auditorium che ascoltano con il fiato sospeso la lettura delle parole di don Giussani, sottolineandole-appuntandole-evidenziandole-amandole sono “oggi, sul Meeting, non si riesce a scrivere nemmeno uno straccio di notiziola nel colonnino delle brevi”. Per esempio, al Meeting, mi sono ricordato che anch’io, agli altri Meeting, dicevo così. Che qualche volta mi era capitato di provare a proporre ai miei capi di raccontare quegli incontri che nessuno dei miei vicini di computer in sala stampa voleva raccontare. Che avevo provato a insistere: “Ma guardate che hanno dovuto chiudere le porte perché la sala era strapiena e fuori c’erano altre centinaia di ragazzi che volevano sentirsi raccontare le parole di don Giussani” e che loro mi avevano spiegato che – digitando sulle agenzie di stampa – di questo Giussani non c’era proprio traccia, nemmeno uno straccio di omonimo. E alla fine mi avevano detto che, per raccontare questi momenti un po’ strani c’erano apposta i supercapi che, fra l’altro, mandavano sempre gli articoli troppo lunghi e “mi spiace ma le tue trenta righe sui volontari che si sono trovati a fare scuola di comunità dietro il forno delle pizze proprio non ci stanno perché dobbiamo piazzare mezza pagina del supercapo. Ubi maior…. E allora, dopo esser stato respinto con perdite, anch’io dicevo che quella di Romiti era una storia da aprirci il giornale e che Giussani non meritava neanche un colonnino nelle brevi. Per esempio, sei giorni prima che iniziasse il Meeting, il direttore mi ha telefonato a Roma e mi ha chiesto di scrivere per “Il Giornale” la storia a puntate di Cielle. Una vera rottura pensavo: “Il primo problema è che io non so nulla di Cielle; il secondo è che il direttore mi chiede di occuparmene il giorno dopo Ferragosto, quando a presidiare la redazione politica del giornale siamo in due e la storia del Meeting dovrebbe convivere con tre articoli al giorno: sugli ex leghisti che fanno un partito, sui leghisti che sono partiti e sulle proposte di Berlinguer sull’ora di religione; tutti buoni motivi per rimandare la storia di Cielle. Un collega ciellino mi manda una busta piena di libri di Giussani per documentarmi sulla materia: la busta coi libri finisce nel cassetto e la scrittura della storia viene rinviata giorno per giorno. Per esempio, fino al viaggio in treno che mi porta a Rimini, continuo a non sapere nulla di Cielle e poco di Giussani, che per me resta quello che, fino all’anno scorso, “non faceva notizia”. E invece leggo di un altro viaggio in treno a Rimini, quello del 1954, in cui Giussani si accorge che i ragazzi non sanno nulla di Cristo e decide che passerà la vita a raccontare loro che “il Verbo si è fatto carne”. È un flash, qualcosa che mi rimane dentro. Per esempio, passo la notte successiva in bianco, a leggere, perché quei libri mi piacciono, mi conquistano. Mi pare che quel Giussani che sulle agenzie di stampa non appare, nemmeno un suo omonimo, abbia tante cose da dire e provo a scrivere sul “Giornale” qualcuna delle frasi che mi hanno colpito. E anche se lo stesso giorno devo scrivere altri tre articoli sui ministri al Meeting, sugli incontri più istituzionali e persino su Silvia Baraldini, quella “rottura di raccontare la storia ciellina” diventa un’avventura entusiasmante e l’appuntamento quotidiano con la scrittura della puntata su Cielle è il più entusiasmante del mio Meeting, una piccola droga quotidiana. Vedere Il Giornale in mano a molti – vedere che tanti lo comprano, anche insieme a Tempi, dove Samuele sembra in preda al ballo di Sanvito per piazzare abbonamenti – è un piacere. Non per me, mi piace l’idea che tanti – anche quelli che già l’avevano letto – possano rileggersi un’altra volta ancora le frasi di don Giussani e magari provare le mie stesse emozioni. Soprattutto l’emozione di un incontro. Sul treno di ritorno mi sento meglio che all’andata. Per esempio.
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