
Esistono ragazzi cattivi?

Le recenti tragedie familiari ci hanno lasciato sgomenti. Schiavi di una narrazione buonista che elimina il mistero del male, imputiamo alla pervasività del contesto sociale le colpe dei nostri errori. Così facendo, annichiliamo la possibilità di un ripensamento critico della vita e, giustapponendo i termini di libertà e responsabilità, eliminiamo la possibilità di una coscienza individuale. Il male stesso, specie quando si esprime tragicamente e nella sua efferatezza estrema con la distruzione dei legami familiari, non esiste in sé e ci facciamo volentieri consolare dalla spiegazione psichiatrica o sociologica.
L’ideologia dell’assecondamento pedagogico ha tolto volontà e oppositività ai ragazzi che sono sempre più spesso rappresentati come sospesi e anestetizzati (i famosi Sdraiati di Michele Serra). Nella realtà, viceversa, i figli continuano a uccidere i padri, le madri, i fratelli. Nella dolorosa e faticosa conquista del proprio posto nel mondo, gli affetti fondamentali vengono percepiti necessariamente come un ostacolo alla propria emancipazione e alla ricerca di identità. Questo è un pensiero che attraversa tutti, ma non tutti lo concretizzano in azione: non sempre odio e rancore si trasformano in atto. Non è quel che siamo ma è quel che facciamo che ci qualifica.
I tempi dei figli
Cresciamo per crisi, attraverso transizioni necessarie che ci danno volto e conoscenza. Per quanto drammatica, la crisi è positività intrinseca a ogni legame familiare, ma la paura, a volte, ci porta ad abdicare al nostro ruolo anche se durante l’adolescenza siamo ancora pienamente genitori. Essere genitori chiede anche che rispettiamo i tempi dei figli e il modo in cui affrontano la vita. Le nostre proposte però sono pure prescrizioni, dove la pretesa e la richiesta sostituiscono la capacità di amare la libertà dei nostri figli.
Nelle testimonianze degli insegnanti, nell’ambiente della scuola, la richiesta performativa delle famiglie crea grandi disagi. Quando questo errore proiettivo avviene (la pressione nei confronti del successo e della riuscita ad ogni costo) per reggere l’emotività del rapporto, gli adolescenti che ancora faticano a gestire le emozioni, cadono nel limite della sola rabbia, della reattività afasica, del “non detto” (il cartone della Pixar Inside out racconta con grande realismo le battaglie emotive che avvengono nelle amigdale dei nostri adolescenti). Mi sorprende sempre che i genitori non interpretino l’indifferenza dei loro figli come una modalità di difesa dal sentimento della colpa e dalla vergogna.
Figli che hanno scelto “altro”
Se l’adulto si sottrae alla relazione educativa, alla profondità dell’incontro, alla necessità di esporre una propria visione del mondo con la quale, seppur confusamente, i ragazzi devono confrontarsi, o la frattura diventerà insanabile e la loro tendenza al ritiro, nel rifugio della virtualità tecnologica o nella condizione di sospensione adolescenziale e nella dimensione infantile del puer aeternus, sarà ancora più marcata. Di fronte all’incapacità di dare risposte di senso all’esistenza, i ragazzi non affrontano la vita e il suo limite, compiendo a volte trasgressioni dalle conseguenze drammatiche. Queste sperimentazioni devono essere permesse ma al tempo stesso accompagnate in una relazione dove ci sia spazio per poter comunicare e incontrarsi realmente.
Essere figli chiede sempre la possibilità della rivolta. La famiglia non può esaurire l’orizzonte del mondo. I figli hanno la necessità di confliggere con i propri genitori e di vedere in loro degli ostacoli anche quando questi non lo sono. Ho conosciuto ottimi padri e madri che hanno interpretato il proprio ruolo generativo adeguatamente e positivamente, ma i cui figli hanno scelto per “altro”, imboccando la strada della devianza e della criminalità, della dipendenza.

«Ditemi cosa ho sbagliato»
I dolorosi fatti di cronaca ci interpellano. La tragedia di Paderno Dugnano è stata per tutti un evento emblematico. Così come la vicenda di Erika e Omar (o più recentemente il caso di Benno Neumair o di Pietro Maso…), i due fidanzatini di Novi Ligure che organizzarono e realizzarono l’assassinio della madre e del fratellino, lascia sgomenti perché tutti provenivano da buone famiglie, amorevoli e attente ai loro bisogni. Nonostante questo, hanno scelto di uccidere per motivi abietti, per denaro e odio. Ancora risuona, in un vuoto senza risposte, la domanda disperata del padre di Erika, rivolta ai giornalisti che lo assediavano: «Ditemi voi perché, ditemi voi cosa ho sbagliato…».
Nel mistero dello sviluppo, i nostri figli possono non accettare la Legge e il suo potere simbolico e farsi sedurre dai richiami narcisistici dell’autoaffermazione, agita in qualunque modo. Azioni commesse senza alcuna apparente coscienza individuale del male e delle conseguenze dei propri comportamenti. Genitori senza colpe… ma figli caduti decisamente lontano dall’albero che li ha generati. Il compito dell’adulto è proporre, ma la libertà del figlio può coincidere anche con la drammaticità della fuga e con la scelta più o meno consapevole della violenza distruttiva. In questo senso, stiamo assistendo a un rigurgito di criminalità adolescenziale e giovanile (valga su tutti il fenomeno delle baby gang e dei loro riferimenti criminali e criminogeni) che rappresenta l’espressione di ragazzi che, o per origini socio-familiari o per scelta, punta unicamente all’esibizione di sé attraverso l’esercizio del potere della violenza. È un’ulteriore, e ancora più estrema, negazione del proprio compito di abitare il mondo in modo personale e originale.
Il male non può essere giustificato
Nella mia esperienza psicoterapeutica ho spesso incontrato adolescenze malate, comportamenti devianti e criminali, conseguenza di storie di marginalità e di degrado ambientale. Ma ho anche incontrato ragazzi che hanno scelto il male, che sono stati attratti e catturati dal lato oscuro, che hanno rinunciato ad affrontare le proprie ombre, proiettando violentemente il proprio disagio sulla società. Per quanto spinti dalla bontà delle intenzioni e dalla necessità di lavorare per una giustizia riabilitativa e riparativa, non dobbiamo dimenticare che il male non può mai essere giustificato e che i ragazzi cattivi esistono!
Nell’esercizio della libertà, Lucignolo continua a rappresentare un’opzione che deve essere contrastata e contenuta per salvare il valore della Legge e della possibilità del cambiamento. Questo non potrà avvenire se chi opera nel settore, ripetiamo, per quanto spinto dalle migliori intenzioni, saprà offrire solo ascolto non giudicante e accoglienza incondizionata, senza che questo implichi, per i ragazzi autori di reati, accettare percorsi di cambiamento e di redenzione che aprono alla dimensione liberatoria del perdono. La confortante e bellissima omelia dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, è la chiave che ha aperto un orizzonte di positività e di bene anche dentro l’esperienza misteriosa della malvagità e del peccato.
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