Esserci come cattolici in un’Olanda qualunque

Di Giancarlo Cesana
25 Ottobre 2019
Giudizio e opere. Mentre l’Italia cambia volto a colpi di sentenze e ogni sforzo di resistenza politica pare sempre più inutile (vedi il suicidio assistito), sono queste le due dimensioni da coltivare per non perdere la voglia di «immischiarsi del mondo»
Udienza pubblica della Corte costituzionale sul caso dell’aiuto al suicidio di Dj Fabo da parte di Marco Cappato

Articolo tratto da “C’è vita oltre il suicidio”, servizio di copertina del numero di Tempi di ottobre 2019. Per leggere gli altri contenuti del servizio, clicca qui.

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Quando uscirà questo numero di Tempi avrete potuto leggere o ascoltare i commenti a favore e contro la delibera della Corte costituzionale che dà il via al suicidio assistito e all’eutanasia. Non mi dilungo in riassunti e aggiunte. Sottolineo solo il fatto che la decisione della Corte costituzionale era prevedibile, per il clima culturale dominante nei media, nel Parlamento e soprattutto nella magistratura, che poi ha deciso.

Tutti gli sforzi cattolici tesi a contrastare quanto è successo – recentemente la presidenza della Conferenza episcopale italiana ha indetto un convegno con la partecipazione di ben 76 associazioni, oltre a politici e intellettuali – si sono rivelati inutili. È tale inutilità che colpisce e scoraggia molti. L’Italia cattolica, il paese dove sta il Papa e verosimilmente la maggior densità di vescovi, non riesce più a intervenire attivamente per promuovere o correggere le leggi che possono orientare il costume secondo i princìpi cristiani.

È una impotenza ingravescente, insorta nel 1974, quarantacinque anni fa, quando, inaspettatamente per la maggioranza di coloro che guidavano la Chiesa e la Democrazia cristiana, il referendum richiesto e indetto per l’abrogazione della legge sul divorzio, appena promulgata, venne sonoramente sconfitto.

C’è stata qualche inversione di tendenza legata, come ho ricordato nel numero di Tempi di settembre, alla intelligente strategia del cardinale Ruini sia a livello parlamentare che popolare-referendario. In particolare significativa è la vicenda della legge 40 del 2004 che regola la procreazione medicalmente assistita. Tale legge, approvata con una maggioranza trasversale, costituita non solo da cattolici, venne sottoposta a referendum abrogativo da quel mondo, cosiddetto laico, che la sentiva troppo limitativa. La legge sopravvisse perché il referendum non raggiunse il quorum. Fu una vittoria proclamata come “cattolica”, per quanto ottenuta da una maggioranza astensionista, la cui forza e consapevolezza era invalutabile, per quanto i cattolici fossero stati decisamente invitati a non votare. Fu un calcolo giocato sull’alleanza tra questi ultimi e i molti indifferenti o ignoranti al fine di rendere insufficiente e quindi inefficace il voto militante contro la legge. La legge 40 è stata poi progressivamente smontata dalla magistratura, dalla Corte costituzionale e dallo stesso Parlamento.

Così e forse non a caso negli ultimi 15 anni procede nel nostro paese lo smantellamento della legislazione, che ha tradotto la tradizione cristiana a sostegno del valore della vita e della sessualità e quindi della procreazione, della famiglia e dell’educazione. Il volto della nostra società è profondamente cambiato: anche l’Italia sta diventando un’Olanda qualunque.

Non tutti sono uguali

Il trend descritto appare irreversibile e, appunto, per i cattolici, tristemente prevedibile. È scontato che ogni qualvolta si ponga un’istanza di carattere morale, come quelle sopra riportate, o sociale, come i princìpi di solidarietà e sussidiarietà, si levino difficoltà enormi di realizzazione e a volte opposizioni feroci. Se il governo precedente, attraverso la Lega, dimostrava almeno a parole – non si dimentichi che la Lega è responsabile quanto il M5s dell’inattività del Parlamento, che la Consulta aveva invitato a legiferare sul fine vita un anno fa – una certa attenzione per l’antropologia cristiana, il governo giallorosso ne dimostra molta meno.

Ci si può aspettare assai poco oltre la ricerca affannosa di un riequilibrio economico e internazionale, comunque necessario, del paese. E sarà così per anni, perché se il governo è contro o indifferente, il cosiddetto mondo cattolico è frastagliato e senza una guida efficace a livello civile. L’autorità ecclesiastica richiama, non sempre decisamente, i princìpi, ma non riesce a formulare un contributo operativamente concreto. Si dice anche che non sia suo compito. Che fare allora? Domandano in molti un po’ abbattuti, mentre altri si lanciano in intemerate contro l’ignavia di popolo e clero, che solo aumentano la confusione.

In primo luogo non bisogna rinunciare al giudizio, che è fattore di libertà, perché giudicare significa non subire quello che succede ma cercare di viverlo da protagonista. È vero che noi non possiamo aspettare la salvezza dalla politica, che è il regno dell’imperfezione e del compromesso, rappresentando noi che siamo altrettanto imperfetti e compromessi. È vero anche che non possiamo pensare di votare e fare attivamente politica solo per quei partiti che sono manifestamente impegnati nella realizzazione dei princìpi che sosteniamo noi, per la semplice ragione che non esistono. Però non tutto e non tutti sono uguali: ci sono posizioni più favorevoli che vanno individuate, appoggiate e collaborate, non perché ci salvino, ma perché possono migliorare la vita nostra e altrui. Anche altrui, certo: non possiamo vivere bene da soli o essere integristi. Se uno sta male, non è che non si cura perché non può ottenere la guarigione completa del corpo e dell’anima; assumerà le medicine a disposizione, con più effetti benefici di quelli collaterali dannosi.

Il cielo deve illuminare la terra

«Vagliate tutto e trattenete il valore», dice san Paolo (1 Ts 5,21), dando, secondo Giussani, la più bella definizione di cultura. Questo dobbiamo fare su ogni aspetto della vita e quindi anche sulla politica. Dobbiamo farlo con la passione dell’unità con coloro che ci sono stati messi insieme verso il comune destino. Il “valore” non lo abbiamo inventato noi e non è ultimamente determinato dalla nostra opinione, per quanto sincera e geniale; è la verità che dobbiamo scoprire e riconoscere per il bene nostro e di tutti. Quello che si chiama comunemente lavoro culturale è per noi la revisione dei nostri pensieri e desideri in modo da concorrere alla unità della Chiesa, essa sì, segno di salvezza per il mondo.

Anche per vescovi e preti vale lo stesso impegno. Per quanto debbano essere attenti a non “battezzare” e trasformare in dogmi opzioni personali e discutibili – giusto che non facciano i politici di professione – non possono esimersi dal discernimento e dalla indicazione delle posizioni politiche più vicine agli ideali della fede. Proprio perché pastori, non sono esseri dedicati a una spiritualità esonerata dal rischio di scegliere e decidere. Non sono meno uomini e meno cittadini; pretendono di essere guardati, e per i cristiani lo sono, come portavoce del cielo sulla terra; il cielo deve illuminare la terra, altrimenti il buio oscura tutto, anche ciò che è bene.

E qui veniamo al secondo fattore, irrinunciabile nell’azione politica dei cattolici: le opere. Non possiamo pretendere che i politici facciano quello che vogliamo e dobbiamo fare noi. Pretendiamo che lo rispettino. Le opere sono frammenti o pezzi, anche grandi, di mondo in cui la fede diventa esperienza verificabile nella sua promessa di compimento e letizia per il mondo. «La fede senza le opere è morta», cioè astratta e invisibile nei suoi effetti, dice san Giacomo (Gc 2,26). Abbiamo bisogno delle opere per credere, non possiamo rinunciare solo perché la politica o la mentalità corrente non le favorisce.

L’educazione di Ermanno lo storpio

È impressionante il racconto che Cyril Martindale, commentatore della Bbc nel secondo dopoguerra, fa della vita di alcuni grandi santi e in particolare di sant’Ermanno lo storpio (I santi, Jaca Book). Ermanno nacque gravemente deforme nella prima metà dell’XI secolo al confine tra la Germania e la Svizzera. Scrive Martindale: «In un mondo pagano egli sarebbe stato, senza esitazione di sorta, lasciato morire all’atto stesso della nascita. I pagani di oggi, soprattutto quando si dica loro che era uno di quindici figli, dichiareranno che non avrebbe dovuto nascere; se poi diventano ancor più razionali affermeranno che un simile aborto avrebbe dovuto essere eliminato senza dolore. E lo ripeterebbero con ancora maggior calore quando aggiungerò che i competenti di novecento anni fa lo dichiararono anche “deficiente”».

Invece l’amore dei genitori e il rispetto per la vita, che caratterizzava quei tempi per altro durissimi, non solo indussero ad accudire il bambino facendolo crescere, ma lo educarono in modo tale che, pur in mezzo ai gravissimi limiti fisici, sviluppasse in un modo sorprendente le sue facoltà intellettive e creative. Studiò astronomia e musica, componendo due inni che ancora oggi sono cantati nelle chiese: la Salve Regina e l’Alma Redemptoris Mater; scrisse anche una storia del mondo dalla nascita di Cristo ai suoi tempi.

La persona, mia e degli altri, quindi, è la prima opera, poi vengono la comunità e la scuola in cui l’io cresce e apprende il significato delle cose, in modo che possa scegliere e giudicare, come detto sopra. Queste sono le opere principali; seguono tutte le altre, di lavoro e impresa, che lasciano nella società una traccia di benessere e di sviluppo che permette di vivere meglio e sperare.

Il “partito” di san Newman

La testimonianza cristiana è già politica, si muove e agisce dentro le condizioni che fanno di una realtà umana un popolo, ovvero un ambito dove il cammino allo scopo del vivere non è casuale ma una strada ricercata, proposta e possibilmente condivisa.

Come dice il beato John Henry Newman, che verrà canonizzato tra poco:

«Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito. Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano… Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove. È vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo. I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini» (da Gli Ariani del IV secolo e Conseguenze del Concilio di Nicea).

Foto Ansa

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