
Eurofestival, o della propaganda canora

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Quando i rapporti internazionali diventano un braccio di ferro a base di sanzioni economiche e dispiegamento di forze militari, con relative fatture da pagare a carico dei contribuenti, bisogna costruire il consenso presso l’opinione pubblica. Per costruire il consenso ci vuole il caso penoso, la violazione dei diritti umani che suscita indignazione. Se gli articoli di denuncia sui giornali e i rapporti allarmati delle organizzazioni specializzate nella difesa dei diritti umani non risultano efficaci, perché la materia è controversa o le informazioni scarseggiano o i crimini da sventolare sotto il naso dell’opinione pubblica non sono abbastanza gravi, bisogna ricorrere a forme più efficaci di propaganda.
Per influenzare l’immaginario popolare ci vogliono storie, volti, immagini, musica. Legittima di più l’intervento militare russo in Siria un concerto di musica classica dell’orchestra di San Pietroburgo fra le rovine della riconquistata Palmira che 100 interviste a sciiti siriani dei villaggi assediati da ribelli jihadisti che raccontano gli orrori dell’assedio e dichiarano la loro gratitudine a Putin. Palmira liberata dagli iconoclasti dell’Isis e il violoncello di Sergei Roldugin fanno dimenticare le vittime civili dell’intervento militare russo.
Per quasi due anni i media europei e americani hanno cercato di enfatizzare le traversie della minoranza tatara nella Crimea riunificata alla Russia in violazione dei parametri del diritto internazionale, al fine di giustificare le sanzioni contro Mosca che danneggiano molte imprese europee e il rafforzamento del dispositivo Nato nella regione. Niente da fare. Adesso finalmente ci sono riusciti grazie a Jamala, la più brillante risposta alla propaganda putiniana: il successo della cantante ucraina di etnia tatara crimeana all’Eurofestival con una canzone che è un atto di accusa contro Mosca prepara il terreno per decisioni poco popolari come la proroga delle sanzioni europee contro la Russia (che scadono il prossimo 31 luglio) e il rafforzamento della presenza della Nato nel Mar Nero, che verrà decisa nel summit dei capi di Stato e di governo che si terrà a Varsavia l’8 e 9 luglio.
“1944”, il pezzo che ha vinto la competizione canora europea, evoca la deportazione dei tatari di Crimea in Siberia e nell’attuale Uzbekistan per ordine di Stalin verso la fine della Seconda Guerra mondiale, come punizione per il fatto che alcune migliaia di loro si erano uniti agli occupanti nazisti per combattere l’odiato nemico storico russo. Ma tutti i telespettatori, soprattutto quelli in Russia e in Ucraina, hanno capito che la canzone alludeva a vicende molto più vicine nel tempo. Che la strofa d’apertura, in inglese come tutto il resto del testo, «When strangers are coming/ They come to your house/ They kill you all/ And say/ We’re not guilty/ Not guilty», alludeva enfaticamente all’annessione del 2014 da parte russa piuttosto che ai fatti di settant’anni prima.
La 32enne jazz singer in persona ha provveduto a chiarire le idee ai meno informati: «Certo che il mio pezzo riguarda anche quello che è successo nel 2014», ha dichiarato al Guardian di Londra alla vigilia della gara. «Questi ultimi due anni hanno aggiunto tanta tristezza alla mia vita. Se vinco significherà che la gente europea moderna non è indifferente alle sofferenze degli altri ed è pronta a solidarizzare con loro».
Altro che regolamento
A norma di regolamento avrebbe dovuto essere squalificata: all’Eurofestival non sono ammesse canzoni con testi di contenuto politico o allusivi. Nel 2009, all’indomani della guerra russo-georgiana in Abkhazia, era stato escluso il pezzo in concorso presentato dalla Georgia: non ostentava contenuti politici espliciti, ma s’intitolava “We Don’t Wanna Put In”, con palese riferimento al presidente russo. L’anno scorso il gruppo armeno Genealogy aveva dovuto modificare il titolo del brano per potere essere ammesso: “Don’t Deny” (“Non negare”), trasparente allusione al negazionismo turco nei riguardi del genocidio armeno del 1915, era diventata “Face the Shadow”. Invece Jamala ha potuto partecipare, e ha vinto anche grazie ai voti dei telespettatori russi (non a quelli della giuria russa, che le ha assegnato zero punti, così come la giuria ufficiale ucraina ha concesso zero punti al concorrente russo). Da quel momento le sofferenze dei tatari di Crimea sotto il giogo di Mosca sono tornate all’ordine del giorno.
Non c’è dubbio che i tatari sfavorevoli all’annessione della Crimea alla Russia, che sono la netta maggioranza dei 250 mila circa che vivevano lì prima del 18 marzo 2014, data dell’annessione, siano stati vittime di un giro di vite. Si stima che da allora in 20 mila abbiano lasciato la regione. Il principale organo di rappresentanza dei tatari crimeani, il Mejlis, è stato messo fuorilegge, la loro principale tv è stata chiusa, manifestazioni pubbliche sono state proibite, perquisizioni di case private e strutture religiose alla ricerca di armi e altro materiale sedizioso si ripetono periodicamente. Secondo il presidente del disciolto Mejlis attualmente 18 tatari sono incarcerati in Crimea con false accuse di terrorismo, e secondo Human Rights Watch gli scomparsi (di cui uno ritrovato assassinato) per presumibili motivi politici sono 7.
All’inizio Mosca ha cercato di vincere le resistenze della minoranza etnica, che aveva boicottato al 70 per cento il referendum con cui era stato deciso il futuro della Crimea, con le lusinghe: il tataro è tato promosso a lingua ufficiale accanto al russo e all’ucraino, Putin ha firmato il decreto di riabilitazione dei tatari e di altre minoranze deportate dal sud della Russia al tempo di Stalin, 10 miliardi di rubli (pari a 134 milioni di euro) sono stati messi a bilancio da spendere entro il 2020 per migliorare le loro condizioni di vita. I loro due leader più popolari, Refat Chubarov e Mustafa Djemilev, sono stati corteggiati in tutti i modi, invitati a Mosca e visitati dai massimi esponenti del Tatarstan, la repubblica autonoma federata con la Russia nella quale vivono quasi 4 milioni di persone, tatare per il 53 per cento. Nemmeno questi tatari, filorussi sin dai giorni dello scioglimento dell’Unione Sovietica, sono riusciti a convincere i loro fratelli crimeani della bontà di una scelta a favore di Mosca.
Questo in parte dipende dalla memoria storica – dei 194 mila deportati nel 1944 la metà circa perì di sfinimento e malattie nei campi di lavoro –, ma anche da fattori come la problematica convivenza dei tatari coi russofoni di Crimea dopo il ritorno dei loro discendenti nella penisola a partire dal 1991. Nemmeno con l’Ucraina e coi vari governi che vi si sono succeduti i rapporti dei tatari tornati in Crimea sono stati idilliaci: si calcola che Kiev abbia speso per il loro reinsediamento non più 300 milioni di dollari, che significa poco più di 10 dollari a testa. In particolare sono state trascurate le scuole: benché i tatari rappresentassero il 12 per cento della popolazione totale di poco superiore ai 2 milioni e mezzo di abitanti, prima dell’annessione del 2014 su 520 scuole soltanto 15 (cioè meno del 3 per cento) insegnavano in lingua tatara. Inoltre per legge i tatari non potevano superare il 27 per cento in nessun distretto, per non alterare i risultati elettorali.
Nonostante tale pregresso oggi gran parte di questa minoranza etnica ostenta grande lealtà verso l’Ucraina, al contrario di russi e russofoni che in massa hanno votato a favore della secessione nel 2014 e che ancora oggi, pur fra mille delusioni e recriminazioni per la scadente qualità dei dirigenti locali scelti da Mosca, si dicono contenti del ricongiungimento alla Russia dopo sessant’anni di separazione (la Crimea fu trasferita dalla Russia all’Ucraina da Kruscev nel 1954). Al referendum del 2014, non riconosciuto dalla comunità internazionale, parteciparono l’84 per cento dei residenti, che votarono “sì” al distacco dall’Ucraina per il 97 per cento. L’ultimo sondaggio di opinione condotto da una società occidentale (la tedesca GfK) risale al 2015 e attesta che i crimeani soddisfatti del ricongiungimento con la Russia rappresentano l’82 per cento del totale.
Eserciti in allerta
L’enfatizzazione canora della causa tatara è necessaria anche perché nel Mar Nero la temperatura è salita. Non passa settimana senza che qualche generale della Nato oppure qualche dirigente politico dei paesi dell’area lanci l’allarme sull’attivismo russo nella regione. In particolare suscitano preoccupazione i programmi di ammodernamento della marina militare russa, il dispiegamento dei missili Kalibr a lunga gittata a bordo delle navi (nell’ottobre scorso furono sparati contro obiettivi siriani da navi nel mar Caspio all’evidente scopo di mettere in allarme la Nato), la nuova classe di sommergibili e la quinta generazione di caccia Sukhoi in arrivo, la presenza di 25 mila soldati russi sul suolo della Crimea.
Secondo il generale americano Ben Hodges i russi sarebbero già in grado, se lo volessero, di impedire l’accesso al Mar Nero, secondo Recep T. Erdogan «il Mar Nero è quasi diventato un lago russo. Se non agiamo adesso, la storia non ci perdonerà». La Romania si è già offerta come capofila di una cooperazione rafforzata coi paesi Nato dell’area per una maggiore presenza dell’alleanza nelle acque dove sta aumentando l’attività russa.
In geopolitica tutto dipende dal punto di osservazione. Se si guarda il mondo da Ankara, da Bucarest o da Washington, lo scenario che si vede è quello di un ritorno in forze della Russia e di una sfida portata all’Alleanza Atlantica. Se si guardano le cose dal punto di vista di Mosca, il panorama è parecchio diverso. Fino a venticinque anni fa, sul Mar Nero si affacciavano solo quattro stati, e tre di questi (Unione Sovietica, Romania e Bulgaria) appartenevano al comunista Patto di Varsavia, uno solo apparteneva alla Nato: la Turchia. Oggi sullo stesso mare si affacciano sei stati: tre di questi appartengono alla Nato (Turchia, Romania e Bulgaria), altri due (Ucraina e Georgia) a luglio verranno promossi a “partner associati” dell’alleanza. Tre di questi paesi (Turchia, Georgia e Ucraina) sono per motivi diversi fortemente ostili alla Russia. Chi ha più diritto di sentirsi assediato? La Russia dalla Nato o i paesi Nato rivieraschi dalla Russia? Tutto è relativo, avrebbe risposto Pirandello.
Foto Ansa
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6 commenti
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Grazie a RodolfoCasadei per l’articolo e FORZA RUSSIA!
Sorprende come pur di cucire addosso a Putin il vestito di vittima, si sorvoli allegramente o si guardi con indulgenza a deportazioni di massa, invasioni territoriali di paesi sovrani e sistematica repressione della liberta’ di stampa ( Anna Politkovskaja, Natalia Estemirova, vi ricordate? ) e ci si scagli invece contro una ragazza appartenente ad una minoranza etnica che ha voluto mettere in versi la tragedia patita dalla sua famiglia per mano del regime staliniano.
Jamala ha voluto cantare la tragedia patita dai suoi nonni per mano di una crudele dittatura. Ha intitolato il brano “1944”. Volete censurarla? Imbavagliarla? Farla passare per una cinica attivista politica che cerca di screditare l’ Uomo della Provvidenza?
Cosa intende palesare, Dott. Casadei, aprendoci gli occhi sul fatto che Cruscёv nel 54 regalo’ la Crimea alla Repubblica Socialista di Ucraina?
A questa sua compiaciuta ricostruzione del “democraticissimo” referendum della Crimea per ottenere la liberta’ tanto sospirata mi permetto di aggiungere un piccolo dettaglio: mentre nei seggi si votava, i tank senza insegne agli ordini della Russia scorrazzavano per la strada. Ora in Crimea i russi si sentono finalmente a casa propria!!! Peccato che non non lo siano piu’ le altre minoranze ( tatari e ucraini). Ma questo e’ un altro stupido dettaglio, ben poca cosa rispetto alla benedizione di essere diventati sudditi del nuovo Cesare! ( con l’aiuto della provvidenza, degli omini verdi e dei carri armati).
Auras970
Ti dà fastidio che la crimea culturalmente e storicamente a maggioranza russa torni alla Russia? Prenditala con i tuoi governicchi occidentali che hanno interferito con la politica interna ucraina sostenendo il golpe contro il legittimo Presidente Yanukovich.
Premesso che la Russia sta in Crimea come i Black Blocs stanno in un edificio abusivo ( e lo dice il mondo intero, a parte Sudan, Iran, Cuba e quelli con la sindrome di Stoccolma come te), la cosa che mi fa schifo e’ come un Leader che liquida i giornalisti scomodi con una pallottola in testa e da l ergastolo ai politici avversari sia preso come modello di buon governante.
Detto questo, io cerco di fare una valutazione politica in base ad argomentazioni, quello chemi da fastidio o meno lo dico al bardellosport.
L’eurofestival è ormai una manifestazione ridicola e patetica, usare ,poi, tale evento per infangare la Russia rende la cosa vomitevole.