«Se non cambia, l’Europa è destinata a implodere»

Di Piero Vietti
24 Luglio 2024
La riconferma di Von der Leyen («Meloni non poteva votare sì»), gli elettori "smentiti", la religione green, le radici cristiane. «Un'unione basata sulle procedure non regge. Lo spazio per una fondata su libertà e diversità c'è». Intervista a Corrado Ocone
Von der Leyen Metsola Europa
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (a sinistra) e la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola (foto Ansa)

«Le conferme di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea e di Roberta Metsola alla presidenza dell’Europarlamento ci dicono che la direzione che si vuole dare all’Ue non cambia rispetto a prima, anche se le elezioni di giugno avevano dato un’indicazione diversa». Corrado Ocone, da poco in libreria con il saggio Radici e libertà: una filosofia per l’Europa (Historica/Giubilei Regnani), commenta in un colloquio con Tempi il nuovo ma già visto assetto di cariche e nomine a Bruxelles. Filosofo e politologo liberalconservatore, nel suo libro Ocone parla di un’Europa senz’anima la cui “unione” è basata su procedure e standard da rispettare. E che se non vuole implodere deve cambiare.

Che Europa è quella che vede ancora Von der Leyen presidente appoggiata dalla maggioranza di prima?

In democrazia contano i numeri. Però i voti non solo si contano, si pesano, e proprio in questo iato fra il contare e il pesare i voti si svolge la politica. Se fosse solamente aritmetica sarebbe semplice amministrazione. Nei giorni scorsi in Europa non si è voluto fare politica, non ci si è reso conto degli umori degli elettori europei, dell’insofferenza crescente soprattutto, ma non solo, nei due paesi che hanno sempre guidato l’Ue, Francia e Germania. Fare politica avrebbe voluto dire provare a convogliare questo malcontento in qualcosa di positivo, mentre sostanzialmente non solo non si è fatta questa operazione, ma si è addirittura dato più peso alla componente verde della maggioranza.

Corrado Ocone libro EuropaUn paradosso, dato che i Verdi sono stati i grandi sconfitti nelle urne a giugno.

Il voto ha dato un segnale chiaro di insofferenza verso il modo in cui è stato concepito il Green deal, che invece verrà riconfermato. Tutto questo dà l’impressione di una sostanziale insensibilità delle classi dirigenti europee rispetto a quelli che sono gli umori della popolazione. La Commissione europea già aveva un deficit di democraticità – lo ha strutturalmente dato che l’Europa non è uno Stato sovrano – e così non fa che confermare un certo arroccamento delle élite che non interpretano i sentimenti che emergono dal voto. Il rischio che vedo è quello di un’implosione dell’Unione europea.

Perché?

Lo abbiamo visto anche in Italia, quando non si è tenuto conto di quello che emergeva dalle urne, non solo le forze impropriamente definite “antisistema” non sono state isolate, ma addirittura hanno poi conquistato la maggioranza. Io penso che gli europei manifesteranno ancora di più la loro insofferenza nei confronti di una politica miope.

Giorgia Meloni, scegliendo di non votare Ursula von der Leyen ha messo l’Italia e i conservatori in un angolo?

Chi ha una mentalità liberalconservatrice come me è rimasto un po’ deluso, perché è stata l’ennesima occasione sprecata per l’Europa per attenuare gli aspetti dirigistici ideologici che finora ne hanno caratterizzato la politica. Ma c’è anche una questione di metodo, perché è emersa tutta l’arroganza con cui si è voluto compiere l’operazione di conferma della Von der Leyen: si è detto “questo è il pacchetto, prenderlo o lasciarlo”. Ecco perché io credo che non si potesse votare a favore.

C’è chi dice che così non si tutela l’interesse nazionale.

L’interesse nazionale non si tutela solo adeguandosi supinamente ai desiderata delle altre nazioni o della classe dirigente europea: questa è una tattica che non paga sulla lunga distanza. L’Italia, vuoi per l’ideologia del vincolo esterno di cui parlo nel mio libro, vuoi per una svolta di conformismo europeista, si è sempre adeguata agli altri. Ma non è questo il modo di far valere i propri interessi, come ovviamente non lo è battere i pugni sul tavolo quando non si ha il potere per poterlo fare. Io credo che classi dirigenti più illuminate avrebbero dovuto cogliere al balzo la disponibilità dimostrata dal governo italiano, da Giorgia Meloni, dal centrodestra, e rendersi più disponibili al dialogo. Questo non c’è stato. Potrebbero esserci conseguenze negative per l’Italia? Non lo so, a me pare che l’Europa sia malata e che questa malattia prima o poi emergerà fuori in tutta la sua forza.

Questa indisponibilità al dialogo nasce dal fatto che le redini le tengono sempre i soliti, cioè Germania e Francia, o da un vizio all’origine dell’Unione?

Il vizio all’origine dell’Ue, di cui parlo nel libro, è quello di voler unire l’Europa senza tenere conto dell’identità degli europei, l’identità europea e l’identità nazionale, dell’Europa come nazione delle patrie. Non voler fare il conto con questa specificità, non trovare una sintesi a partire da questo fattore storico-culturale, fa sì che l’Europa aderisca a un altro modello, e cioè il modello giacobino, in cui una classe dirigente transnazionale espressione solo di certi paesi e di certe forze politiche in nome della bontà del suo progetto tende a imporlo a tutta l’Europa. È l’idea illuministica di uniformare, adeguare, omogeneizzare tutto. A maggior ragione adesso che si è allargata, e si allargherà ancor più, l’Europa potrà avere un futuro solo se ci saranno cooperazioni rafforzate fra i vari Stati. Non si può pensare di trovare una sintesi su basi ideologiche tra popoli e nazioni che la storia ci ha consegnato con specificità molto forti.

Emmanuel Macron e Olaf Scholz
Il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz al vertice Nato di Vilnius, Lituania, 11 luglio 2023 (foto Ansa)

Nel suo libro parla del ruolo del cristianesimo e della perdita delle radici cristiane dell’Europa. C’è un modo non ideologico di poterle recuperare?

Se l’Europa vuole in qualche modo essere Europa deve trovare un minimo comune denominatore, qualcosa che accomuni tutti a livello culturale, non a livello politico o, peggio, proceduralistico. Questo qualcosa credo non possa che essere la tradizione cristiana. Non vedo altri fattori unificanti. C’è stato un momento, nel primo decennio degli anni 2000, in cui si è pensato che l’Europa si potesse costruire su delle procedure, su degli standard da rispettare. Anche l’ingresso della Turchia, che a un certo punto sembrava imminente, si fondava su questa idea, che però è un’idea molto astratta di politica, perché non si tratta solo di rispettare delle procedure, ma anche di avere un’identità comune che è data dalla storia, dalla cultura. Un processo di costruzione di unificazione europea deve innanzitutto partire dal basso, non dall’alto, secondo il principio di sussidiarietà, e deve tenere conto di quei valori comuni che si trovano nella tradizione cristiana e in quella liberale. Serve un grande lavoro culturale. E non è facile.

Un “valore” su cui si cerca di unire l’Europa è l’ecologia, che lei definisce “una nuova religione per l’Europa senza anima”.

L’ideologia green è diventata un sostituto del cristianesimo, un surrogato, una religione senza trascendenza con tutti i suoi dogmi. Ma è un’ideologia che è tutto il contrario della tradizione liberale classica europea, fondata sul dialogo e sulla discussione. L’ideologia green, oltre a essere paganeggiante, impone i suoi dogmi come verità indiscutibili.

Come se ne esce?

Io credo che qualcosa di buono possa venire dai Paesi dell’est, perché hanno subìto e vissuto tutti e due i totalitarismi del secolo scorso. L’ideologia dominante oggi in Europa sicuramente non è marxista, però conserva molti caratteri del marxismo, cioè l’idea di una separazione del bene e del male, di una purificazione, di una verità unica da imporre. Io penso che i Paesi dell’est possono aiutarci a renderci conto che c’è ancora la possibilità di costruire un’Europa fondata sulla libertà e sulla diversità.

Il grande lavoro culturale che serve deve essere affiancato anche da un lavoro politico?

La politica dovrebbe essere espressione dell’opinione comune, ma un’opinione pubblica europea non esiste, perché oggi ci sono grandi guide intellettuali europee. E questa è una novità recente, perché anche quando l’Europa era divisa in nazioni che si combattevano fra loro c’era un’intelligenza europea. Oggi questa circolazione di idee nell’ambito culturale non c’è, quindi non c’è nemmeno un’opinione comune europea. Si è cercato di crearla con l’ideologia woke, le cui contraddizioni sono però ormai sotto gli occhi di tutti. Per questo è assolutamente necessaria un’elaborazione culturale da legare alla politica senza per questo ritornare alle vecchie ideologie, ma trovando un collegamento fra l’elaborazione culturale e l’opinione comune.

Lo vede possibile questo lavoro?

Non c’è molto da essere ottimisti, purtroppo, perché l’Europa dà l’impressione di essere un continente vecchio, a rimorchio degli altri. Agli intellettuali tocca anche il compito di far presenti le contraddizioni, di contribuire a elaborare un’idea di Europa ripercorrendone la storia. È che quello che provo ad spiegare nel mio libro: oggi l’Europa è guidata da élite chiuse e impermeabili. È ora di pensare a un’Europa più plurale, dove idee diverse possano convivere, un’Europa fondata su un processo di integrazione che parte dal basso e non dall’alto, non ideologica ma pragmatica. Tutta la vicenda europea dopo il voto di giugno è andata come non doveva andare, ma tutte queste riconferme di cariche faranno aumentare ancora di più l’insofferenza dei cittadini europei. Lo ripeto: l’Europa così come è oggi è destinata a implodere, prima o poi.

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