Europarlamento: valanga d’astensioni

Di Tempi
30 Giugno 1999
Il grafico della settimana

Fosse stato un referendum italiano, non avrebbero convalidato il risultato: alle elezioni del 13 giugno scorso si è recato a votare soltanto il 49 per cento dei cittadini dell’Unione Europea (UE) aventi diritto. Per la prima volta nella storia delle elezioni popolari per il Parlamento europeo (le prime si tennero nel 1979), la percentuale di astenuti ha superato quella dei votanti. Questo bel risultato emerge, guarda caso, in uno scenario che vede 13 paesi su 15 dell’UE governati dagli eredi di Kautsky e di Marx: insomma, l’apogeo dell’eurosinistra coincide col massimo di disaffezione degli europei per le istituzioni politiche che dovrebbero governare il loro presente e il loro futuro. Intendiamoci: i tassi di partecipazione alle elezioni del Parlamento europeo sono andati sempre scemando dal ‘79 in poi: vent’anni fa l’astensionismo stava al 37% e cinque anni fa al 43,2. Ma il balzo dell’ultima tornata, con un quasi più 8% di diserzioni, è senza precedenti. A tirare su la media sono soprattutto la Germania, dove in cinque anni l’astensionismo europeo è passato dal 40 al 54,8%, e la Gran Bretagna, passata dal 65 al 77% nello stesso periodo. Guarda caso, si tratta degli ultimi due grandi paesi che hanno insediato ai loro vertici, al suo di grandi fanfare, governi di sinistra. Ebbene, insieme alla Finlandia rappresentano il terzetto di paesi dell’UE che, in occasione delle europee del ‘99, hanno registrato la più bassa partecipazione a un’elezione generale di tutta la loro storia. La Germania, che con Kohl cancelliere rappresentava una forza trainante dell’integrazione europea, disponibile perfino a rinunciare al suo marco per imbarcarsi nell’avventura euro, adesso appare titubante e sfiduciata, sicura soltanto su di un punto: sarebbe stato meglio tenersi il vecchio Helmut e lasciare Schroeder dove stava; in Gran Bretagna i conservatori hanno spettacolarmente ribaltato i risultati delle politiche del ‘97, che li avevano visti battuti dai laburisti di Blair per 50 a 30, con una campagna elettorale ferocemente antieuropeista che li ha portati alla vittoria per 38 a 28. Anche in Francia il successo elettorale è arriso alla più antieuropeista delle liste: quella dei dissidenti gollisti di Charlas Pasqua, che hanno lievemente superato i gollisti ortodossi (13% contro 12,7). In Italia la sinistra ha colto il pretesto del basso tasso di affluenza per tentare di delegittimare il voto che ha premiato Forza Italia. Trattasi di tentativo molto maldestro: l’Italia, infatti, è il paese dell’Unione Europea dove si è votato di più. Belgio e Lussemburgo, che hanno registrato tassi di affluenza più alti dei nostri, non dovrebbero in realtà far testo, perché lì la tornata europea era contestuale ad elezioni generali nazionali. La verità è che l’Europa mediterranea, con tassi di partecipazione superiori al 60 per cento in Spagna, Grecia e Italia, ha dato lezione di civismo all’Europa del nord. Forse perché solo i meridionali d’Europa credono ancora al futuro dell’Unione Europea?

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