Fa caldo o gli ambientalisti non sanno nemmeno leggere il termometro?
D icono che il Cnr abbia comunicato che l’aumento della temperatura media in un secolo in Italia è stato di un quarto superiore all’aumento della temperatura media terrestre, il che non vuol dire nulla visto che la media terrestre include i mari. Il ministro Alfonso Pecoraro Scanio, noto testimonial delle competenze matematiche medie del paese, deve aver scambiato le divisioni per moltiplicazioni e ha annunciato che la temperatura in Italia è salita quattro volte di più dell’aumento medio terrestre. Franco Prodi, che è il massimo climatologo italiano, e suo fratello il fisico Vittorio hanno denunciato la miseria di una conferenza sull’ambiente in cui non era presente un solo scienziato italiano competente in materia e che si è risolta in una grancassa ambientalista poco seria. Prodi ha osservato che «hanno dato per scontato e misurato il contributo antropico all’aumento della temperatura. Ma non è così: è assai probabile che ci sia il contributo dell’uomo nell’aumento di temperatura. Ma quantificarlo è, invece, il problema di questo secolo».
È sorprendente la leggerezza con cui ci si avventura in questioni di enorme complessità. Anche una persona seria e riflessiva come Ermete Realacci ha definito «settori marginali della scienza» quelli che mettono in dubbio la relazione tra riscaldamento e cause antropiche, aggiungendo che «è vero che i mutamenti ci sono sempre stati, ma l’arco temporale in cui si stanno realizzando adesso non ha pari nella storia». Ma come si possono fare simili affermazioni con leggerezza? I primi termometri risalgono al Seicento e quelli capaci di fornire misurazioni quantitativamente esatte al Settecento. Ma, soprattutto, è soltanto da poco tempo che le misurazioni della temperatura atmosferica sono prese con metodi affidabili e soprattutto omogenei; e, per ricavare conclusioni degne di nota, non basta sapere quel che è accaduto nell’ultimo secolo. Senza contare che la meteorologia è una scienza giovanissima: negli anni Quaranta era ancora una disciplina a dir poco rudimentale, priva di un apparato matematico adeguato a correlare efficacemente la teoria con i dati empirici. Dove sarebbero dunque i dati attendibili che permettono di parlare di sviluppi senza pari nella storia? Ci si riempie sempre la bocca di scienza e poi quel che trionfa è l’ideologia. A questo proposito, abbiamo letto con interesse un articolo di Marco Tronchetti Provera a proposito del convegno “The future of science – The energy challenge” promosso dalle Fondazioni Cini, Veronesi e sua. Giustamente Tronchetti Provera critica l’ossessione della crescita, assegna alla scienza e alla tecnologia il compito di difendere l’ambiente e parla di «valore fondamentale della persona», del «diritto a vivere, a progettare un futuro migliore per le giovani generazioni» e cita anche l’«alto magistero di Benedetto XVI». Ottimo. Purché poi non finisca al solito modo. E cioè parlando di effetto serra, di difesa dell’ambiente, delle foche monache e dei falchi pellegrini, e della natura che deve essere preservata ad ogni costo: ogni aspetto della natura meno che quello umano. Che rispetto del valore fondamentale della persona è mai quello che non include il rispetto della natura umana e che include la licenza di ogni nuova eugenetica? La critica dell’ossessione della crescita economica riguarda tutto meno che gli affari dell’industria genetica?
Questi discorsi di difesa ambientale per essere convincenti debbono essere coerenti e non a corrente alternata, e non debbono far uso della scienza come e quando conviene.
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