
Così le fake news di Trump sono diventate la verità di Biden

«Quando le “bugie” di Trump diventano la verità di Biden». C’è tutto nel titolo del Figaro: «È un vero colpo di scena che i media e i social americani si stiano occupando, senza vantarsi troppo, dell’origine del virus che ha stravolto le nostre vite e sospeso la marcia del mondo. Improvvisamente, tutto ciò che abbiamo chiamato bugie, fake news e razzismo anti-cinese quando Donald Trump ha dichiarato l’anno scorso che il Covid avrebbe potuto essere stato fabbricato nel famoso laboratorio di Wuhan, diventa possibile quando Biden chiede un’indagine dettagliata su questo argomento. Una differenza di trattamento che rivela una definizione di “verità” a geometria variabile molto difficile da digerire per quelli di noi che rimangono fedeli alla libertà di parola».
La narrazione sul Covid sta assumendo i contorni di un fiasco mediatico di proporzioni storiche. Pietoso il dietrofront di Facebook. Che prima, «dopo aver consultato le principali organizzazioni sanitarie» (tra cui i vertici dell’Oms di cui è ben nota la sudditanza a Pechino), ha censurato ogni pubblicazione adombrasse l’ipotesi di un virus creato in laboratorio, bollandola come falsità, fake news, disinformazione. E che oggi depone la mannaia davanti all’apertura di ulteriori indagini richiesta da Biden: non ci saranno più censure sull’argomento.
Accecati dall’odio per Trump
Al pari dei social, i media tradizionali hanno sistematicamente escluso le teorie del “complotto” su un virus creato dall’uomo eleggendo autorità indiscussa dell’informazione la comunità scientifica, nonostante i suoi portavoce siano stati capaci di affermare tutto e il contrario di tutto e nonostante l’opacità e gli innumerevoli tentativi di insabbiamento da parte della Cina. Perché? «Perché l’odio per Trump era così forte che era assolutamente necessario squalificare qualsiasi idea avesse difeso», lo scrive il Figaro e lo ribadisce Bret Stephens dalle colonne del New York Times.
Secondo Stephens uno scandalo ancora tutto da provare che travolgesse il laboratorio di Wuhan non cancellerebbe il vero e proprio scandalo della narrazione offerta dai media armati di censura e diffamazione contro le fake news: la dimostrazione «che a volte i nemici più distruttivi della scienza possono essere quelli che affermano di parlare in suo nome».
Ma non erano fake news?
Ragionevoli, le osservazioni del senatore Tom Cotton che chiedeva chiarimenti su alcune circostanze inquietanti sono state bollate con fare sprezzante da tutti i media. La strana coincidenza di una pandemia originata nella stessa città in cui si conducevano esperimenti sul virus dei pipistrelli, l’assenza di contatti dei primi pazienti cinesi con i mercati in cui si è data per scontato fosse partita la pandemia, le bugie del governo cinese: «Fringe theory» le ha marchiate il Washington Post, «infodemia» l’Atlantic, «teoria della cospirazione» avanzata da conservatori «noti per vomitare regolarmente stupidate (e colpire la Cina)», il commento di Vox.
Vox, tra parentesi, come rivela TechStartups, ha oggi riscritto interi passaggi dei suoi articoli, utilizzati per il fact-checking di Facebook, perché non apparissero eccessivamente faziosi. Il Wp sbrigativamente si limita a usare la notizia della «clamorosa decisione di Facebook» per sottolineare come è difficile districarsi tra «tutela dei lettori dalla disinformazione» e libero dibattito. Nessun mea culpa.
I bigotti delle redazioni liberal
Allora ci servirono un derby tra i padri nobili dell’Oms e i bifolchi dell’alt right, nessuno spazio venne concesso nemmeno al biologo evoluzionista Bret Weinstein che dell’importanza di valutare anche l’ipotesi di una “fuga” da un laboratorio iniziò a parlare un anno fa. Nessuno spazio a Nicholas Wade che su The Bulletin of the Atomic Scientists ha ben chiarito i legami tra i 27 scienziati che insistevano ostinatamente sull’”origine naturale” del virus su Lancet e il laboratorio di Wuhan.
Poteva essere una fonte affidabile per giornali e Facebook l’Oms, la stessa agenzia che per mesi ha tenuto bordone alla Cina? «Eppure la teoria della falla di laboratorio, indipendentemente dal fatto che si riveli giusta o meno, è sempre stata credibile. Anche se ci credeva Tom Cotton. Anche se il “consenso” scientifico la contestava. Anche se i bigotti, che raramente hanno bisogno di un pretesto, ne hanno tratto conclusioni bigotte», scrive Stephens dalle colonne di quel giornale che fu tra i più acerrimi nemici del “virus cinese” propagandato da Trump. E continua:
«Il buon giornalismo, come la buona scienza, dovrebbe seguire le prove, non le narrazioni (…). E non dovrebbe mai trattare il disaccordo onesto come un’eresia morale. Chiunque si chieda perché così tante persone siano diventate così ostili alle dichiarazioni dei funzionari della sanità pubblica e dei giornalisti scientifici dovrebbe trarre la conclusione appropriata da questa storia. Quando si fa una lezione al pubblico sui pericoli della disinformazione, è meglio non spacciarla da sé».
«E se questa folle teoria fosse vera?»
«E se questa pazza teoria si rivelasse vera?»: se lo chiede anche l’analista politico americano Thomas Frank sul Guardian. C’è stato un momento in cui il Covid pareva la mano di Dio sulla terra. Ha spodestato dal trono i cattivi, sollevato eroi, separava i giusti dai malvagi:
«”Rispetta la scienza”, ci ammonivano da ogni parte. Ed ecco, è arrivato il Covid e ci ha costretto a farlo, elevando i nostri scienziati alle più alte sedi dell’autorità sociale, da dove vietavano assembramenti, commercio e tutto il resto. (…) Per noi aveva perfettamente senso che Donald Trump, un politico che disprezzavamo, non potesse afferrare la situazione, che suggerisse alle persone di iniettarsi la candeggina e che fosse personalmente responsabile di più di un evento di super-diffusione (…). Prestigiosi media hanno persino trovato il modo di imputare il maggior numero di morti a un sistema di ignoranza organizzata chiamato “populismo”».
Il riferimento è ai titoli del Nyt sul virus che cresce nei paesi guidati da leader populisti illiberali o del Wp sui leader populisti che hanno perso la loro battaglia contro il coronavirus. Giornali a cui non possono che venire le convulsioni nel momento in cui si pone la domanda: «E se la stessa scienza fosse in qualche modo colpevole di tutto questo?». Fallirebbe il culto della scientismo, della moralità, delle competenze, del fact checking su cui le élite liberal hanno costruito il controcanto al populismo pandemico.
I legami tra Wuhan, Oms e Usa
Frank rimette in ordine i dettagli usciti nelle ultime settimane. Ricordando alcune semplici cose. Che gli incidenti in laboratorio non sono frutto di cospirazioni ma incidenti, accadono continuamente. Che ci sono prove che il laboratorio di Wuhan che studiava i coronavirus dei pipistrelli possa aver condotto esperimenti di “guadagno di funzione”, detti anche mutazioni attivanti (in pratica alterare il genoma di un virus per ottenerne di più infettivi, ricerche sospese sotto Obama). Non sarebbe la prima né l’ultima volta. Ci sono inoltre forti indizi che alcune ricerche sul virus dei pipistrelli a Wuhan fossero finanziate anche dall’establishment medico americano e dai funzionari dell’Oms.
Nel suo report Wide, ex autore scientifico del Nyt, ha sottolineato che la lettera degli scienziati di Lancet che «concludono in modo schiacciante che questo coronavirus ha avuto origine nella fauna selvatica» e invitano i lettori a schierarsi con i colleghi cinesi in prima linea per lottare contro la pandemia, è stata organizzata e redatta da Peter Daszak, presidente dell’EcoHealth Alliance di New York, che ha finanziato la ricerca sul coronavirus presso l’Istituto di virologia di Wuhan. «Questo acuto conflitto di interessi – questo come gli altri, tantissimi, conflitti di interesse tra gli incaricati di andare a fondo sull’origine del virus ben rivelati da Wide, e tra i quali nomina come promotore del programma di ricerca anche Anthony Fauci – non è stato dichiarato ai lettori di Lancet».
Il Nyt pregava «per la scienza»
Quanto ai media (che come la Bbc riescono a trasformare l’emergere di nuove ipotesi in una difesa d’ufficio di Daszak e Fauci), gli stessi alfieri del Russiagate hanno eletto a verità incontrovertibile quella affermata dagli scienziati, liquidando come follia trumpista e attentato alla democrazia qualunque altra osservazione. Scrive ancora Frank:
«“Preghiamo, ora, per la scienza”, intonava un editorialista del New York Times all’inizio della pandemia di Covid. Il titolo del suo articolo ha stabilito la fede fondamentale del liberalismo dell’era Trump: “Il coronavirus è ciò che ottieni quando ignori la scienza”».
La sconfitta del pensiero critico
Tutti speriamo in una smentita della teoria della fuga dal laboratorio. Ma la prima sconfitta da ammettere è quella della ricerca della verità. Non dalla Cina, non dall’Oms e tanto meno da Facebook o dai media, e forse neanche da una indagine di Biden, che di fatto solleva i media dall’onere di mettere il naso nella vicenda, verrà fuori il riscatto di un pensiero critico, nulla cancellerà i mesi a tacciare di fake news, infodemia, sinofobia chiunque osasse porre la madre di tutte le domande: cosa c’è all’origine della pandemia? Perché tanti scienziati solo ora mettono in discussione la narrativa avallata per mesi da colleghi e istituzioni preposte? Non è da folli psicotici sovvertitori della democrazia farsi domande. Ma trasformare le fake news di Trump nelle verità di Biden sì.
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