
Fine di un anno «bellissimo» (e meno male)

«L’anno bellissimo» pronosticato dal premier Conte è finito malissimo per la coalizione gialloverde, ma non saremo noi a dolercene. Come abbiamo scritto più volte, e anche di recente, questo governo non ci ha mai convinto. Troppo lontano da quelle che sentiamo come priorità per il nostro paese: troppo statalismo, troppo giustizialismo, troppo assistenzialismo, troppa retorica populista e miraggi di decrescita felice.
Non poteva durare
Pur senza troppo entusiasmo, non vedendo in giro dei Churchill o dei De Gasperi, per il 4 marzo 2018 avevamo indicato nello schieramento di centrodestra il contenitore adatto, se non ad esprimere, almeno ad ospitare certe istanze a noi care: la sussidiarietà, la libertà di educazione e di impresa, il sostegno alla famiglia costituzionalmente definita. L’obbrobrio che ne è uscito – il governo del cambiamento, col suo carico di revanscismo anti-élitario – non era il nostro. Non poteva durare e non è durato: meno male. Ora Toninelli avrà tempo per andare a scavare il tunnel del Brennero.
Di Maio come Icardi
Matteo Salvini ha fatto il suo capolavoro, trattando l’evanescente Luigi Di Maio peggio di come sta facendo Marotta con Icardi. Da socio di minoranza, ha invertito le percentuali coi grillini, ha cannibalizzato il consenso di Forza Italia, ha tenuto a bada il Pd, spingendolo ancora più a sinistra. Sebbene sul personaggio abbiamo molte riserve, dobbiamo ammettere che, strategicamente, finora, non ne ha sbagliata una.
Un po’ più complicato di così
Adesso i politologi sui giornali ci spiegano che il percorso per andare alle urne subito è accidentato e l’esperienza ci insegna che, come nel calciomercato agostano, niente è detto fino all’ultimo. Quel che si può dire ora è che questo governo ha fatto solo grandi pasticci (spazzacorrotti e reddito di cittadinanza su tutti) e che il “contratto” firmato a inizio legislatura è stato il bluff con cui la Lega ha convinto quegli allocchi dei cinquestelle a pensare che la politica è roba che si fa a tavolino e il resto è conseguenza. Ma è un po’ più complicato di così: non basta schiacciare un bottone su Rousseau perché le cose accadano. Così come non basta farsi tremila selfie al giorno per abbattere il debito pubblico italiano.
Chi glielo fa fare?
Si aprono mille scenari ed incognite: Salvini vuole andare a votare o sta bluffando di nuovo? Qualcosa ci dice che il leader leghista abbia machiavellicamente calcolato che “se va male” (cioè se non si vota, perché troppi parlamentari – renziani, azzurri di Forza Italia, pentastellati – rischiano il posto con nuove elezioni), lui potrà comunque lucrare consensi stando all’opposizione. Chi verrà, dovrà affrontare una fase impegnativa: manovra, clausole di salvaguardia, rapporti ostici con l’Europa. Chi glielo fa fare?
Pessime notizie
Staremo a vedere. Senza perdersi nei retroscena e rimanendo a quel che si vede sulla scena, Salvini dà l’idea di voler «correre da solo» e questa è una pessima notizia non solo per chi sta cercando di organizzare una proposta politica liberale, moderata, riformista, di “centro” (se si vota, non ce ne è il tempo), ma anche per lui stesso. Come disse a questo giornale, esattamente un anno fa, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti il consenso in Italia è sempre più volatile: «Non bisogna mai perdere il contatto con la realtà». E la storia recente insegna: l’uomo solo al comando passa rapidamente dal bellissimo al malissimo.
Foto Ansa
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