
L’accanimento senza fine contro Paivi Rasanen

La persecuzione di Paivi Rasanen continua. Dopo essere stata assolta all’unanimità da tutte le accuse di «incitamento all’odio» dal tribunale di Helsinki, l’ex ministro dell’Interno finlandese tornerà a processo: il pubblico ministero ha deciso di fare appello e portare avanti il procedimento penale aperto contro di lei e il vescovo luterano Juhana Pohjola nel 2019.
«Questo caso incombe su di me e la mia famiglia da quasi tre anni – ha commentato la donna -. Dopo essere stata completamente scagionata in tribunale, sono sconcertata dal fatto che il pubblico ministero non lascerà cadere questa campagna contro di me. Ancora una volta, sono pronta a difendere la libertà di parola e di religione non solo per me, ma per tutti. Sono grata a tutti coloro che sono stati al mio fianco durante questo calvario e chiedo loro di continuare a sostenermi».
Tre anni di accanimento giudiziario
A nulla è servita l’assoluzione del 30 marzo, né la raccomandazione della polizia a non procedere con le accuse surreali di incitamento all’odio scatenate nel 2019 da un tweet (in cui Rasanen, membro attivo della Chiesa luterana finlandese, criticava la sua Chiesa per aver sponsorizzato il gay pride citando San Paolo), un pamphlet, Maschio e femmina li creò, scritto nel 2004 e pubblicato dal vescovo Pohjola, e dalla sua partecipazione, nel 2018, a una trasmissione televisiva dal titolo “Che cosa penserebbe Gesù degli omosessuali?”. Secondo la polizia «non è stato commesso alcun crimine», secondo la corte di Helnsinki «deve esserci una ragione sociale prevalente per interferire e limitare la libertà di espressione» e nel caso Rasanen non c’è mai stata.
Secondo l’accusa invece, a cui il tribunale aveva dato da pagare oltre 60 mila euro di spese legali e sette giorni per impugnare la sentenza, l’acclamata vittoria di libertà di parola: per la legge finlandese il pubblico ministero può appellarsi contro i verdetti di “non colpevolezza” fino alla Corte Suprema della Finlandia.
Il processo a Rasanen è parte della pena
L’intento è chiaro: «L’insistenza dello Stato nel continuare questo processo nonostante una sentenza così chiara e unanime del tribunale distrettuale di Helsinki è allarmante. Trascinare le persone nei tribunali per anni, sottoporle a interrogatori di polizia di un’ora e sprecare i soldi dei contribuenti per controllare le convinzioni profondamente radicate delle persone non ha posto in una società democratica. Come spesso accade nei processi per “incitamento all’odio”, il processo è diventato parte della punizione», ha dichiarato Paul Coleman, direttivo Adf e autore di Censored: How European Hate Speech Laws are Threatening Freedom of Speech.
Adf è l’associazione legale che si occupa di difendere le libertà fondamentali e la dignità delle persone nelle aule di tutto il mondo. Da Paivi Rasanen alla sposa bambina pakistana Maira, da Tom Mortier che sta sfidando la legge belga sull’eutanasia che ha tolto la vita a sua madre a Julia Rynkiewicz, l’ostetrica inglese “colpevole” di essere contro l’aborto. Del caso di Rasanen Tempi si è occupato più volte (qui la ricostruzione del caso giudiziario iniziato con una citazione della Lettera ai Romani).
Rasanen e il “chilling effect”
Il fine dell’accanimento giudiziario è chiaro come aveva spiegato il suo avvocato a Tempi pochi mesi prima dell’assoluzione: a prescindere dall’esito del processo, il fatto stesso che un ex ministro venga portato alla sbarra per un tweet contenente una semplice citazione di san Paolo è un danno enorme alla libertà di espressione nonché un avvertimento pericoloso.
«È quello che chiamiamo “Chilling effect”. Anche se Rasanen e il vescovo saranno assolti, la gente domani avrà più paura di dire in pubblico ciò che pensa per il timore di essere trascinata in tribunale. Un processo, a prescindere dall’esito, può creare problemi in famiglia, con gli amici, sul luogo di lavoro».
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