
Fioroni ripassi la Pubblica istruzione
Non so dire se abbia del tutto ragione monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro e storico allievo di don Luigi Giussani, nel qualificare Giuseppe Fioroni come «il peggior ministro dell’Istruzione nella storia della Repubblica». Francamente, però, condivido il suo stupore e per molti versi anche la sua esasperazione nel constatare come siano proprio politici cattolici a mettere i bastoni tra le ruote alla legge regionale con la quale il presidente della Lombardia Roberto Formigoni e l’assessore Gianni Rossoni intendono dare piena attuazione alle norme del Titolo V della Costituzione in materia scolastica, varate proprio dal centrosinistra pochi mesi prima delle elezioni del 2001. Ricordo che la riforma costituzionale attribuisce alle Regioni competenza esclusiva sulla formazione professionale e competenza concorrente con lo Stato sull’istruzione professionale impartita negli istituti per l’industria, l’artigianato, il turismo, i servizi sociali, gli istituti alberghieri e quelli agrari. Ai corsi professionali in Lombardia, gli iscritti sono aumentati in quattro anni del 500 per cento fino a 30 mila soggetti. La Regione intende ora estendere alla durata triennale dei corsi un nuovo biennio, con titolo di accesso all’università, accreditamento delle scuole pubbliche e private, loro piena autonomia, introduzione di un’Autorità di valutazione sugli standard formativi, certificazione delle competenze acquisite dagli studenti fino al livello di diploma. Il ministro Fioroni ha parlato di fuga in avanti, tacciando Formigoni e i suoi di essere “Pierini”. Giudica la legge lombarda una rottura dell’uniformità del sistema dell’istruzione professionale, che deve restare saldamente “uniforme” sul territorio garantito e per questo deve essere affidato alla decisione e alla vigilanza statale. Respinge come inammissibile la disponibilità espressa dalla Lombardia di accollarsi vigilanza e competenza anche sul sistema dell’istruzione professionale e non solo della formazione. Accusa la giunta regionale di puntare a un totale controllo sull’intero sistema scolastico, licei compresi. Aggiunge che ciò implicherebbe la competenza su risorse finanziarie di origine extraregionale. In altre parole, boccia l’idea su tutta la linea e considera “una bravata” l’intenzione che la anima.
Ciò che fa riflettere, naturalmente, non è che i cattolici quanto a scelte politiche possano preferire la sinistra o la destra. Il punto è che sia proprio sulla prospettiva di aprire la scuola in chiave di autonomia e decentramento che i cattolici si dividano tanto aspramente. Dopo decenni di statalismo laicista espropriatore delle libertà formative che erano linfa e ricchezza nel nostro paese proprio della tradizione cattolica, si tratta di una vera e propria sindrome di Stoccolma. Non è questione di disconoscere il ruolo storico che la scuola di Stato ha avuto nel dare unità culturale e nazionale al paese. Ma di non riconoscersi più in una impostazione per la quale la scuola di Stato è unica dispensatrice di formazione (sulla base dell’idea che la prima esigenza da soddisfare sia quella di chi vi lavora invece che quella di chi la frequenta), e di promuovere invece il principio di libera scelta delle famiglie di allocare tramite voucher a istituti statali o privati le risorse volte alla formazione dei figli. L’Autorità di valutazione serve proprio a vigilare affinché all’offerta pubblica possano concorrere privati e statali, perché ciò che conta è solo lo standard qualititativo della formazione offerta. Non sono princìpi eversivi, ma liberali.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!