PER FORTUNA C’è LA DOTTRINA SOCIALE

Di Giorgio Vittadini
23 Dicembre 2004
Il gravissimo deficit culturale

Il gravissimo deficit culturale, non solo del mondo politico-partitico, ma anche di quello intellettuale, è la subalternità di fronte al potere. Sembra che il dibattito verta solamente su chi debba avere il potere e su quale sia l’azione dei governi.
Nell’ultimo “Renzo a Milano” si è analizzato il disastroso effetto del binomio liberismo-statalismo sulla politica industriale e del welfare. Si vogliono ora mettere brevemente in luce le conseguenze nefaste della degenerazione del pensiero cattolico.
L’esaltazione dell’uomo misura di tutte le cose, demiurgo risolutore di ogni problema, e il pauperismo assistenzialista sarebbero, infatti, impotenti senza la benedizione morale di un cristianesimo ridotto a spinta etica. Da una parte, tale cristianesimo, per sopperire alla povertà crescente, pretende, non si sa come, non si sa con che soldi, non si sa con che effetti, che Stato ed enti locali trasferiscano i soldi agli indigenti. In questo modo la preferenziale scelta per i poveri diviene preferenziale scelta per l’assistenzialismo. Per fortuna è stato scritto il Compendio della dottrina sociale della Chiesa che giudica diversamente tali temi. Occorre, infatti, chiedersi come chi sostiene questa posizione riesca ad accordarsi con l’affermazione secondo cui non esiste solidarietà senza sussidiarietà: «Il principio della solidarietà, anche nella lotta alla povertà, deve essere sempre opportunamente affiancato da quello della sussidiarietà, grazie al quale è possibile stimolare lo spirito di iniziativa, base fondamentale di ogni sviluppo socio-economico, negli stessi paesi poveri: ai poveri si deve guardare “non come ad un problema, ma come a coloro che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo”».
Dall’altra parte ci sono cattolici che inseguono l’uomo della provvidenza, capace da solo di trovare ogni soluzione, unico in grado di ascoltare i bisogni del popolo e di modellare i partiti come luogo delle proprie clientele, sprezzante o noncurante di ogni argomentazione sociale, di ogni movimento, di ogni esperienza che nasce dal basso. Anche in questo caso il Compendio della dottrina sociale della Chiesa non sembra essere osservato: «I partiti sono chiamati ad interpretare le aspirazioni della società civile orientandole al bene comune, offrendo ai cittadini la possibilità effettiva di concorrere alla formazione delle scelte politiche. I partiti devono essere democratici al loro interno, capaci di sintesi politica e di progettualità».
«Le istanze della fede cristiana difficilmente sono rintracciabili in un’unica collocazione politica: pretendere che un partito o uno schieramento politico corrispondano completamente alle esigenze della fede e della vita cristiana ingenera equivoci pericolosi».
Forse un buon corso di catechismo elementare aiuterebbe chi, da una parte e dall’altra, si è dimenticato che non si può tirare la Fede come un chewing-gum a proprio uso e consumo.

*Presidente Fondazione per la Sussidiarietà

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