
Forza Allawi
Dunque si vota di nuovo. Per la terza volta in un anno. Ma questa volta si gioca sul serio. Tutto il resto è stato una grande prova generale. Solo ora si conoscono esattamente i rischi e le regole del grande gioco iracheno. I sunniti non possono più permettersi il lusso dell’astensionismo. Ripetendolo ratificherebbero la loro scomparsa dalla scena politica consegnando non solo il parlamento, ma il paese, le sue risorse e il proprio futuro a curdi e sciiti. Gli americani hanno invece capito che gli sciiti, grandi vittime dell’era Saddam, non sono gli alleati più leali per gestire il futuro dell’Irak. Il governo del primo ministro Ibrahim al Jaafari ha già trasformato l’Irak, o almeno alcune importanti province sciite, in una dependance iraniana. Gli iraniani mantengono eccellenti contatti anche con i curdi dell’Unione Patriottica del Kurdistan e con il loro leader e presidente dell’Irak Jalal Talabani. I territori controllati da Suleimaniya fin giù a Kirkuk sono adiacenti a quelli iraniani e la repubblica islamica rappresenta il miglior partner commerciale. Senza contare la “protezione” accordata durante la lotta a Saddam. Meriti e crediti pregressi che Tehran sa egregiamente far valere. L’unica fortuna degli americani è stato il pessimo servigio reso al proprio paese dal primo ministro Ibrahim al Jafaari. Passi per gli oltre 180 prigionieri sunniti rapiti dalle loro case e ritrovati – grazie ad un raid americano – torturati, incatenati e affamati nei sotterranei del ministero degli Interni. Torture, abusi e violenza in Irak non fanno notizia. Quel che ha colpito molti sciiti è stata l’incapacità di Jaafari di liberarsi dell’influenza delle fazioni filo-iraniane diventando una pedina sballottata tra i marosi di una politica decisa oggi a Tehran e domani a Washington. Questa disillusione ha scompigliato il campo in seno a quella maggioranza sciita che conta il 60 per cento della popolazione e che lo scorso anno votò in massa per l’Alleanza dell’Unità Irachena garantendole il controllo di 143 seggi parlamentari su 275. L’alleanza incentrata sul partito Dawa del primo ministro Jaafari e sullo Sciri di Abdul-Aziz al-Hakim, con l’appoggio esterno del ribelle Moqtada Sadr, ben difficilmente ripeterà lo stesso successo. La coalizione non può neppure contare sulle fatwa dell’ayatollah Al Sistani. Nei giorni scorsi la suprema autorità religiosa di 16 milioni di sciiti iracheni si è limitato a incoraggiare il voto per le formazioni «con un’inclinazione religiosa», ma si è ben guardato da concedere, come lo scorso gennaio, una benedizione totale a Jaafari e compagni.
L’AGO DELLA BILANCIA
Molti sciiti scontenti per l’appoggio ai vecchi nemici di Tehran si guardano intorno e si ritrovano puntati addosso gli occhi dell’ex premier Iyad Allawi. Americani e inglesi puntano ancora una volta sull’uomo che guidò il paese dal giugno 2004 fino alle elezioni dello scorso gennaio. Allawi deve scontare il risentimento di chi l’accusa d’aver sottoscritto gli assedi di Najaf e Fallujah, ma ha anche delle ottime carte da giocare. È uno sciita, militò nel partito Baath, è stato un oppositore a Saddam Hussein, è sopravvissuto ai suoi sicari e, qualità che in Irak non guasta, ha fama di uomo duro e deciso. Per molti questo sciita secolarizzato resta l’uomo giusto per allontanare lo spettro della guerra civile ed evitare una divisione del paese su base settaria e religiosa capace di far scomparire l’entità nazionale irachena. Su queste basi Allawi può conquistare il voto di molti indecisi sunniti e di tanti sciiti poco propensi a ridare il loro voto ai sostenitori della teocrazia. Non vincerà al primo turno, ma può diventare l’ago della bilancia intorno a cui far convergere sunniti, sciiti dissidenti e curdi non scissionisti. L’unica alleanza su cui gli americani possono contare per sconfiggere un’egemonia iraniana sul nuovo Irak.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!