
«Padre Hamel è stato ucciso dalla barbarie islamista: non dimentichiamo»

«Noi non dimentichiamo che padre Hamel è stato assassinato dalla barbarie islamista. Il suo assassinio non ha toccato soltanto i cristiani, ma tutta la Francia. Uccidere un sacerdote in chiesa significa cercare di uccidere una parte dell’anima nazionale». Con queste parole ieri il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, ha ricordato durante una cerimonia repubblicana la morte di padre Jacques Hamel, ucciso a 85 anni il 26 luglio 2016.
«LA CHIESA NON HA SCELTO LA VENDETTA»
Quella mattina di quattro anni fa, l’anziano sacerdote stava recitando la Messa nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, in Normandia. Due terroristi islamici, Adel Kermiche e Abdel Malik Petitjean, lo sgozzarono sull’altare, poi presero in ostaggio i fedeli presenti alla celebrazione, prima di essere abbattuti dai reparti speciali della polizia francese mentre cercavano di scappare dalla chiesa.
Durante la «cerimonia repubblicana per la pace e la fraternità », che si è svolta domenica davanti alla stele della Fraternità eretta di fianco alla chiesa dove è avvenuto l’omicidio nel 2017 dal Comune in omaggio a padre Hamel, il ministro dell’Interno ha elogiato la Chiesa cattolica: «Non avete ceduto alla tentazione della collera, al desiderio di vendetta, avete scelto la pace e l’unità ».
LA VIOLENZA E LA BARBARIE BIOETICA
La cerimonia è iniziata con una marcia silenziosa culminata con la Messa in memoria del sacerdote, concelebrata da monsignor Dominique Lebrun, arcivescovo di Rouen, e da monsignor Éric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims e presidente della Conferenza episcopale francese. Entrambi hanno sottolineato come la comunità cattolica apprezzi la presenza dei rappresentanti dello Stato alla cerimonia, ricordando però che il tentativo in atto in questi giorni da parte del governo di approvare la legge di bioetica stravolgendo la filiazione «inquieta i cattolici tanto quanto il problema della sicurezza».
Se la causa di beatificazione di padre Hamel è in corso – dopo la positiva conclusione della fase diocesana da aprile 2020 tutto è nelle mani del Vaticano, incaricato di riconoscerne il martirio – è in fase di conclusione anche l’inchiesta che dovrebbe portare a processo i presunti complici dei due assassini. Secondo il Figaro, ci sono attualmente tre sospetti: Farid K., 34 anni, cugino di Petitjean, che nei giorni immediatamente precedenti all’attentato si scambiò via Telegram 38 messaggi con l’assassino. Secondo l’accusa, Farid «era perfettamente a conoscenza dell’imminenza di un progetto di azione violenta da parte del cugino».
IL PROCESSO E I COMPLICI
Il secondo sospetto, Yassine S., 25 anni, era in contatto con gli islamisti e recatosi a Rouen alla fine di luglio 2016, passò con loro la notte tra il 24 e il 25 luglio, il giorno precedente all’attentato. Lasciò la città il 25, il giorno in cui doveva avvenire l’attentato, poi rimandato al giorno seguente perché la chiesa era chiusa.
Il terzo sospetto, Jean-Philippe Steven J.L., 24 anni, era un amico di Petitjean. Nel giugno 2016 aveva viaggiato insieme al terrorista in Turchia per unirsi allo Stato islamico. Entrambi, a distanza di qualche settimana, furono rispediti in Francia ma continuarono a tenersi in contatto su Telegram. Tutti e tre si sono dichiarati estranei ai fatti ed essendo gli autori del crimine deceduti, difficilmente potrà essere dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio il contrario.
Al di là del processo restano i nodi del terrorismo e dell’estremismo islamico. Come dichiarato dall’arcivescovo di Rouen, Lebrun, quando le vie giudiziarie saranno esaurite «bisognerà tornare sul problema del terrorismo e su quello del Male».
Foto Ansa
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