
Furet e l’utopia (religiosa) del comunismo

L’uomo vive di miti e illusioni. Queste servono per addolcire la propria esistenza, ma anche per fornire un senso che altrimenti, con la morte di Dio, non si potrebbe ritrovare. Il comunismo ne è un plastico esempio: una religione secolare, dogma immanente adottato dagli orfani di Dio senza Dio. In uno dei più significativi volumi dedicati a questa ideologia totalizzante, L’oppio degli intellettuali (1955), Raymond Aron ha cercato di capire e spiegare la natura di questo fenomeno para-religioso. Perché esso ha conquistato tante menti e tanti cuori nel corso della storia? Perché, in fondo, ha fornito per l’appunto un senso alla storia e ai seguaci di un tale credo.
Il profetismo marxista, notava Aron, è tipicamente conforme allo schema giudaico-cristiano. L’esistente viene condannato e si propone un’alternativa armoniosa posta in un imprecisato radioso futuro. La missione redentrice è affidata alla classe che più di tutte ingloba in sé la miseria di questo mondo, il proletariato. Solo che essa non è in grado di svolgerla da sé, ma necessita di una guida intellettuale: ecco che il Partito diventa la Chiesa della dottrina comunista. Una dottrina imbevuta di un’irresistibile forza progressista. Come scriveva il pensatore francese, il comunismo non ha infatti sedotto in quanto eresia cristiana, ma poiché «è apparsa come la forma estrema, la definitiva interpretazione della filosofia razionalista e ottimista» che stava alla base del pensiero occidentale. Il comunismo come fase estrema del razionalismo illuministico, avrebbe detto qualcuno: sennonché, la sua storia è bagnata del sangue di milioni di individui in carne e ossa sacrificati sull’altare di un idolo.
Dagli al borghese

La sua storia, dunque, altro non è che la storia di un mito certamente attrattivo, ma che si è rivelato distruttivo e disastroso: non solo per i fallimenti economici creati, bensì per la miseria morale e umana a cui ha dato vita. François Furet (1927-1997) ne ha scritto in un ormai classico sul tema, ora riproposto da Silvio Berlusconi Editore. Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo è uscito originariamente nel 1995, qualche anno dopo la caduta dell’Unione Sovietica, emblema del (fallimento del) comunismo realizzato.
Importante storico della Rivoluzione francese, Furet afferisce a quella tradizione liberale di studio che da Alexis de Tocqueville giunge fino ad Aron. Militante comunista in gioventù, Furet giunge poi a diventare un severo critico del marxismo. Ma a lui non interessa scrivere una storia del comunismo vera e propria, così come del regime sovietico, bensì la storia della sua illusione. Alla radice dell’illusione comunista, risiede un odio viscerale per una classe, che in realtà altro non è che un tipo d’uomo: il borghese. La cosa curiosa è che l’uomo che vuol far da sé ed essere indipendente, cioè, come diceva Sergio Ricossa, appunto il borghese, è anche lo stesso capro espiatorio del fascismo e del nazional-socialismo.
Alla base dei totalitarismi novecenteschi si staglia l’odio per il capitalismo, foriero di caos, disordine, libertà smodata: tutto questo va sostituito con l’organizzazione – che altra cosa rispetto all’ordine: leggetevi quello che scrisse Friedrich von Hayek sul punto – imposta da una classe di eletti. Grattando un po’, scrive Furet, la passione anticapitalista e antiliberale la si può individuare già nella seconda Rivoluzione francese, quella del 1793, allorché i giacobini decidono di fare tabula rasa dell’esistente, per instaurare il regno della libertà (solo la loro) e della virtù. Nulla di così nuovo, insomma.
Un fallimento che continuerà
Ma la cosa curiosa è la potenza delle idee che la storia veicola. Scrive infatti Furet che Marx è il vero profeta redentore, il Messia apparso sulla terra per mettere ordine e tracciare il futuro – in realtà già scritto nelle leggi storiche che egli avrebbe scoperto: alla faccia della libertà che il comunismo professa! «A tutti sembra rivelare il segreto della divinità dell’uomo, venuta dopo quella di Dio: agire nella storia – prosegue Furet – senza le incertezze della storia».
Anche se il comunismo è la storia di un’illusone e di un fallimento, lo storico francese era però sicuro – e aveva ragione, possiamo dire a posteriori – che la sua storia fosse tutt’altro che conclusa: «C’è da scommettere che il fallimento continuerà a godere nell’opinione pubblica di circostanze attenuanti e forse conoscerà un ritorno d’entusiasmo». Aggiungeva infine che avrebbe potuto rinascere in forma diversa – viene in mente qualcosa?
In fondo, non v’è nulla di più irresistibile di crearsi illusioni che deresponsabilizzano le persone, rendono inutili le loro azioni, e le fanno ritenere vittime in balia di forze superiori: che si tratti di un intellettuale (soprattutto) o di chiunque altro, l’uomo, orfano di Dio, «non si accontenta di opinioni, ma vuole una certezza, un sistema. La rivoluzione gli dà il suo oppio» (Raymond Aron).
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