
Perché in Gabon c’è stato un golpe (che non ha spazzato via la democrazia)

Il colpo di Stato militare di mercoledì mattina a Libreville subito dopo l’annuncio del risultato delle elezioni presidenziali non ha spazzato via la democrazia dal Gabon, ma la dinastia Bongo che lo governava da 56 anni. E i motivi di quello che è accaduto non sono difficili da intendere. Il Gabon è il primo paese dell’Africa subsahariana continentale per Pil pro capite, ma si tratta soltanto di un’illusione ottica: nonostante le statistiche parlino di 8.820 dollari di Pil pro capite, il 30 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà e il 40 per cento dei giovani è disoccupato.
E questo accade nonostante il paese sia il quarto produttore africano di petrolio con 200 mila barili al giorno e 2 miliardi di barili di riserve accertate, il secondo produttore mondiale di manganese, un grande esportatore di legname (3,7 milioni di metri cubi, il doppio di dieci anni fa), e disponga di giacimenti poco sfruttati di oro, diamanti, uranio, rame, zinco e terre rare. Tanta abbondanza non è bastata fino a oggi a fare uscire dalla povertà una popolazione di appena 2,3 milioni di abitanti, concentrati per il 60 per cento nelle due città principali del paese, Libreville e Port-Gentil, ma che hanno a disposizione un territorio – affacciato sull’Oceano Atlantico e ricoperto per l’85 per cento da foresta naturale – grande poco meno dell’Italia.
Le elezioni in Gabon in un clima di sfiducia generale
Le elezioni si sono svolte in un clima di sfiducia generale: Ali Bongo, successore del padre Omar Bongo che governò il paese dal 1967 al giorno della sua morte nel 2009, aveva vinto senza troppe discussioni le elezioni presidenziali anticipate a turno unico tenutesi nell’agosto dello stesso anno con il 41,7 per cento dei voti; non così nel 2016, quando era stato rieletto con uno scarto di appena 5.500 voti dal secondo candidato più votato ed erano fioccate le accuse di frodi, avallate dagli osservatori Ue, che avevano rilevato la “chiara anomalia” di una partecipazione al voto del 99,93 per cento degli aventi diritto nella provincia di origine di Bongo, mentre nel resto del paese il tasso di partecipazione segnava il 60 per cento scarso.
Stavolta nessuna delegazione di osservatori internazionali è stata ammessa nel paese e ai giornalisti stranieri è stato rifiutato l’accreditamento, l’accesso a Internet è stato bloccato subito dopo la fine del voto ed è stato imposto un coprifuoco dalle sette di sera alle sette del mattino adducendo il rischio rappresentato dalla diffusione di “appelli alla violenza e false informazioni”.
La “vittoria” di Bongo e il colpo di Stato militare
Successivamente, la ricezione delle tivù francesi RFI, France 24 e TV5 Monde, molto seguite in Gabon, è stata sospesa con l’accusa da parte del governo di “mancanza di obiettività ed equilibrio nella copertura delle elezioni in corso”. Secondo un sondaggio condotto su un campione di 1.000 seggi da parte della Rete delle organizzazioni libere per il buongoverno in Gabon (Rolbg), il 68 per cento degli elettori avrebbe optato per il principale candidato dell’opposizione, Albert Ondo Ossa. Quando, quattro giorni dopo il voto, è stato annunciato il risultato ufficiale secondo cui Ali Bongo aveva vinto le elezioni addirittura col 64,2 per cento dei voti, era chiaro che qualcosa sarebbe successo.
Ed è successo infatti appena pochi minuti dopo l’annuncio in tivù della seconda rielezione del presidente uscente: un gruppo di militari ha annunciato il colpo di Stato dagli schermi della tivù Gabon 24, dichiarando nullo il voto e sciolte tutte le istituzioni del paese. In serata è stato poi reso noto che il comandante della Guardia presidenziale generale Bric Oligui Nguema era stato «designato all’unanimità presidente del Comitato per la transizione e la Restaurazione delle istituzioni». Il primo atto della giunta militare è stato il ripristino delle connessioni internet e dei programmi delle tivù straniere.
Polemiche in Francia per il golpe in Gabon
In Francia i fatti del Gabon hanno sollevato furiose polemiche da parte dell’opposizione, che rimprovera al presidente Macron di non avere reagito con sufficiente vigore ai precedenti colpi di Stato in paesi africani ex colonie francesi (così l’ex presidente socialista François Hollande), di avere appoggiato una “marionetta presidenziale (…) insopportabile” (così il leader dell’estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon, che ricorda l’incontro del giugno scorso all’Eliseo fra Macron e Bongo), di non avere più una dottrina politica nei confronti di paesi storicamente legati alla Francia (Marine Le Pen, estrema destra). Sta di fatto che il Gabon rappresentava fino a ieri, secondo la stampa francese, il “simbolo della Françafrique”, cioè del sistema di relazioni e di interferenze con cui la Francia ha mantenuto per molti anni un forte ascendente sulle sue ex colonie africane.
Omar Bongo, il padre di Ali, che nel 1968 aveva imposto un sistema a partito unico abolendo il multipartitismo, era stato scelto come successore del primo presidente del Gabon indipendente (Léon Mba, capo di Stato dal 1960 al 1967) personalmente da Charles De Gaulle e dal suo braccio destro Jacques Foccart, segretario generale della presidenza per gli affari africani, con l’approvazione dei servizi segreti (Dgse), che si erano incaricati di registrare la dichiarazione di Mba morente che designava suo successore Bongo. In Gabon si trova una delle quattro basi militari permanenti francesi in Africa. Le altre tre si trovano in Senegal, Costa d’Avorio e Gibuti. Altre due basi operative di rilievo stanno in Ciad e in Niger. L’anno scorso la Francia aveva completamente ritirato le sue forze dal Mali e dal Centrafrica.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!