Fratellastro smartphone, raccontami una fiaba

L'Associazione Nazionale Dipendenze tecnologiche lancia l'allarme: sempre più genitori intrattengono i figli con device elettronici, sottovalutando le conseguenze di questa "delega". Il ruolo degli adulti per non dimenticare i ragazzi online

«Lasciare un figlio da solo sui social network è come lasciarlo solo nella piazza di una città sconosciuta», diceva a Tempi Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la Sostenibilità digitale e docente di Sostenibilità digitale all’Università di Pavia. «Daresti la macchina a un bambino di 10 anni? No. Uno smartphone è pericoloso come una macchina, o un coltello», gli faceva eco Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione Nazionale Dipendenze tecnologiche. Tocca ai genitori, scrivevamo nella storia di copertina di agosto, andare a riprendere i ragazzi “dimenticati” online, è innanzitutto degli adulti la responsabilità di fronte a una generazione che rischia di ritrovarsi persa nel labirinto dell’algoritmo.

Il 36 per cento fa raccontare le favole dallo smartphone

Nuovi dati resi noti lunedì dall’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo (Di.Te) raccontano invece di come lo smartphone sia diventato «un componente sempre più invasivo nella relazione tra genitori e figli, a partire dalla più tenera età». Non si tratta solo di lasciare i device nelle mani di bambini di sette-otto anni, ma di iniziare a intrattenerli così già da neonati. E, punto da non sottovalutare, di intrattenersi con lo smartphone mentre si sta coi figli. La ricerca dice che «nella fascia di età tra 0-4 anni, oltre la metà dei genitori usa lo smartphone durante le poppate o per lo svezzamento, e il 64 per cento intrattiene i figli con dispositivi digitali durante il giorno». Un numero altissimo di genitori, il 36 per cento degli intervistati per questa ricerca, non racconta più le favole della buonanotte ai propri figli nei primi tre anni di vita, sostituendole con applicazioni dello smartphone. «E il 22 per cento non canta più le ninne nanna, preferendo delegare questo compito agli assistenti vocali».

Il rapporto con la vita reale che manca

Non serve una laurea in Pedagogia per sapere quanto momenti come quelli siano fondamentali nella costruzione del rapporto genitore-figlio, e quanto – dice il presidente dell’Associazione Di. Te. Lavenia – «la relazione madre-figlio, già nei primi momenti dell’allattamento, abbia un valore fondamentale nello sviluppo psico-emotivo del bambino». Pianti e urla dei bambini vengono sempre più spesso affrontati con lo smartphone (lo dice il 41 per cento dei genitori). «Serve un rapporto con la vita reale», diceva Lavenia a Tempi ad agosto, «Se a un bambino che piange metto sempre lo schermo davanti gli faccio un torto perché non gli insegno a gestire la frustrazione, ma ad avere una soluzione esterna tramite un device».

Quel “aspetta un attimo” dei genitori con lo smartphone

Le percentuali crescono drammaticamente con l’aumento dell’età, dice la ricerca: tra i bambini di età compresa tra 4-9 anni, il 91 per cento dei genitori utilizza dispositivi per intrattenere i figli durante il giorno, il 46 per cento dei quali durante i pasti e il 39 prima dell’ora di dormire. «Il 97 per cento dei ragazzi tra i 9 e i 14 anni ammette di utilizzare i device durante la giornata, di questi, oltre il 70 per cento prima di addormentarsi e un preoccupante 57 per cento preferisce rimanere connessa online piuttosto che uscire all’aria aperta».

Il problema è in realtà duplice: non sono soltanto i ragazzi a diventare dipendenti di smartphone e social network, con gravi rischi per il loro sviluppo psico-fisico, ma anche gli adulti. Con una ricaduta spesso sottovalutata: «il 57 per cento dei bambini e il 69 per cento degli adolescenti riportano di sentirsi spesso messi in secondo piano dai genitori che sono impegnati con il proprio smartphone, ricevendo come risposta un “aspetta un attimo” quando esprimono una necessità o chiedono supporto», dice a Tempi Lavenia.

Meglio lo smartphone del parco

E ancora, «una percentuale significativa di bambini, pari al 41 per cento, manifesta reazioni emotive intense, come crisi di pianto, quando gli viene sottratto l’uso dello smartphone», e «il 19 per cento dei bambini esprime una preferenza per trascorrere il proprio tempo in casa, interagendo con dispositivi elettronici, piuttosto che godersi attività all’aperto come una semplice giornata al parco. Questa tendenza sembra accentuarsi durante l’adolescenza, con una percentuale che cresce al 38 per cento».

In un recente rapporto l’Unesco ha suggerito di vietare gli smartphone nelle scuole per migliorare l’apprendimento degli studenti e aiutare a proteggere i bambini dal cyberbullismo. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per l’istruzione, la scienza e la cultura, ci sono prove che l’uso eccessivo del cellulare sia collegato a un rendimento scolastico ridotto e che molto tempo passato davanti allo schermo abbia un effetto negativo sulla stabilità emotiva dei bambini.

Ripensare il rapporto con la tecnologia

Le conseguenze sono sotto gli occhi di molti, e raccontate da ricerche e studi clinici: ansia, depressione, paragone continuo con modelli irraggiungibili e proposti all’infinito dall’algoritmo incidono sulla salute mentale dei ragazzi. «È il momento di riflettere sul nostro rapporto con la tecnologia e considerare seriamente le sue implicazioni per la prossima generazione. La priorità dovrebbe essere instaurare connessioni umane profonde, dando ai nostri figli l’attenzione che meritano», dice Lavenia.

La chiave di volta sono i genitori e gli educatori, scrivevamo nella nostra inchiesta. Genitori che conoscano i rischi dell’abuso di smartphone e social network, per sé e per i propri figli; insegnanti preparati che insegnino ai ragazzi fin dalle elementari come rapportarsi con questi strumenti; educatori che sappiano proporre qualcosa di più affascinante dello schermo senza essere anacronisticamente luddisti. «Il male non è dentro al cellulare, è la nostra assenza il male. I ragazzi hanno bisogno di noi», diceva ancora Lavenia.

Foto di Vitolda Klein su Unsplash

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