
Genocidio religioso
Timor-Est: un altro caso di violenza di musulmani contro cristiani. Esso fa notizia, perché è un caso internazionale, Timor-Est è uno stato coloniale, ha lasciato il suo segno nella storia politica, prima che in quella religiosa. Il caso politico di Timor-Est è fin troppo noto, è un caso di decolonizzazione della decolonizzazione.
L’Indonesia non aveva altra unità che quella offerta dalla potenza occupante, l’Olanda. Non esiste né uno stato, né una nazione indonesiana ma esistono realtà tribali unite da un solo fatto: la comune religione musulmana. Una dittatura, prima di sinistra (Sukarno) poi di destra (Suharto) ha mantenuto l’unità dello stato fondata sull’unica cosa che esiste negli stati decolonizzati: l’esercito. La decolonizzazione fulminea fu una sciagura per i popoli decolonizzati, una fortuna per i gruppi locali che ottennero il possesso del paese. Se ne sentirono i padroni perché lo rendevano stato indipendente. La tragedia dell’Africa nera non è la tragedia della colonizzazione, è quella del modo in cui è avvenuta la decolonizzazione. Caduta la dittatura di Suharto, la democratizzazione ha coinciso con il timore della decomposizione dell’unità statale dell’Indonesia. Il presidente Habibe, che si è trovato improvvisamente installato al potere al posto del dittatore, non ha potere proprio. E i militari, che vedono in Timor-Est il principio della dissoluzione del sistema indonesiano, reagiscono così come Milosevic reagì in Kosovo.
Possiamo pensare che la pressione imperiale dell’Occidente fermi i militari, che essi siano i disposti ad accettare l’esito di un referendum, imposto dalla democratizzazione, ma che può essere per essi il disegno di una crisi del sistema coloniale di cui essi sono gli eredi? Non è certo. Tutto è simile in Timor-Est al Kosovo, salvo la geografia.
Ma infine ai cattolici italiani dovrebbe importare di Timor più che di un qualsiasi altro caso nella storia dei diritti umani violenta: il genocidio religioso. Perché questo non è un genocidio politico, è un genocidio religioso, il genocidio che l’Islam ha abitualmente compiuto contro i popoli cristiani. Ma forse qualche cattolico, a qualsiasi livello, ha parlato di genocidio religioso, rivolto non contro dei singoli, ma contro un popolo perché cattolico? Un cattolico progressista, cioè del genere comune cui siamo abituati, si vergognerebbe a dire che si sente più colpito da un genocidio religioso fatto contro i cattolici che da qualsiasi altra violenza.
E soprattutto in questo caso, in cui si tratta dell’antica storia del genocidio dei cattolici come religione che l’Islam ha sempre compiuto e di cui il Sudan dà oggi il più terribile esempio. I cristiani dovrebbero usare il concetto di genocidio religioso, perché essi ne sono abitualmente le vittime. Ciò che ha fatto sì che Timor-Est resistesse dal ’75 contro l’occupazione indonesiana non è stata una differenza tribale, ma una differenza religiosa: il loro essere divenuti cattolici. In altri tempi ci si sarebbe commossi di questi nostri fratelli di fede, che hanno conservato come popolo cristiano la loro identità spirituale rifiutando di essere occupati da uno Stato di musulmani. Essi hanno già pagato con 200mila morti l’indonesianizzazione forzata, che è per loro una soggezione radicale ad una società islamica, in cui avviene abitualmente il genocidio religioso mediante la discriminazione sistematica. E la storia di Timor-Est è la storia della discriminazione sistematica dei cattolici. Eppure per tanti anni quando mai si è parlato della persecuzione di Timor-Est? Oggi bisogna parlare bene dell’Islam dimenticando che l’Islam storico andando oltre il testo coranico, ha sempre praticato il genocidio religioso dei cristiani. La Chiesa preconciliare sentiva la persecuzione all’Irlanda o alla Polonia come persecuzione alla Chiesa cattolica, a noi stessi. La svolta secolarizzata ha distrutto il senso che la Chiesa cattolica è un corpo che soffre nelle sue membra. Perciò nessuno parla in Timor-Est di genocidio religioso.
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