Prof, che cosa possiamo fare? «Così ci siamo rimboccati le maniche e aiutato là dove c’era bisogno. Cioè ovunque»

Di Elisabetta Longo
14 Ottobre 2014
Il racconto di un gruppo di studenti e insegnanti che non si sono tirati indietro dopo l'alluvione di Genova. «Ognuna delle persone che abbiamo aiutato ci ha ringraziato e ci ha mostrato come si può non perdere la speranza»

Li hanno soprannominati “angeli del fango”, ma sono uomini e donne normali che hanno deciso di dare una mano alla propria città. Gente che è arrivata nelle zone più disastrate di Genova e si è data da fare come poteva. Senza paura di fare fatica o di sporcarsi troppo con quel fango che la notte tra il 9 e il 10 ottobre ha travolto ogni cosa. I danni sono tanti, incalcolabili per il momento. La conta potrà essere fatta dopo che sarà tornato il sole sul capoluogo ligure, perché per il momento l’allerta 2 rimane costante. Nel frattempo si spala senza distinzione di età.

DA LICEI E UNIVERSITÀ. Paola Zannini, insegnante del liceo Martin Luther King, ci ha portato i suoi alunni. «Sono venuti con me una quarantina di studenti, senza bisogno che chiedessi loro nulla. Spontaneamente mi hanno chiesto: “Prof, cosa possiamo fare?”. La stessa domanda me l’hanno posta anche alcuni miei ex alunni, che invece erano andati a spalare il fango nella precedente alluvione, quella del 2011. Tre anni dopo la scena si ripete e di nuovo vedo i miei alunni, poco più che ragazzi, rimboccarsi le maniche e aiutare là dove c’è bisogno. Cioè ovunque».
Un po’ più grande è invece Benedetto Castellacci, che sta finendo l’università, e che si è organizzato con i suoi amici: «Si è sparsa la voce che stavamo andando verso Brignole sabato e in pochissimo tempo siamo diventati un centinaio. Tutti ragazzi come noi, senza paura di stancarsi».

«NON SI PERDE LA SPERANZA». Per capire in che zona ci fosse più necessità, è bastato chiedere al municipio di riferimento più vicino, quello di Molassana nel caso di Paola Zannini: «In particolare in via delle Casette le cantine stracolme d’acqua erano davvero tante. Nella zona del cimitero di Staglieno invece erano per lo più i negozi a essere stati colpiti. Ognuna delle persone che abbiamo aiutato ci ha ringraziato e ci ha mostrato come si può non perdere la speranza. C’era il proprietario di un negozio di ottica, che stava lì, fermo, con lo sguardo fisso nel vuoto, di fronte all’attività di una vita andata distrutta. Se non avesse visto un gruppo di ragazzi ad aiutarlo non si sarebbe mosso di lì».

NEGOZI ROVINATI. Gran parte dei privati e dei commercianti colpiti dall’alluvione sono gli stessi che erano stati flagellati dall’acqua nel 2011. Non tutti riusciranno a riprendere le proprie regolari attività, come spiega Benedetto: «Una signora proprietaria di un negozio di antiquariato ci ha spiegato che non avrebbe più riaperto, che non ce l’avrebbe fatta. Tutta la preziosa merce del suo negozio era stata inesorabilmente rovinata dall’acqua e dai detriti. Insieme a lei avrebbero perso il lavoro un centinaio di persone».
Continua a piovere, e per le strade di Genova l’acqua ricomincia a salire, quasi facendosi beffa degli sforzi fatti nel fine settimana. «Quello che mi colpiva, camminando con la vanga e il secchio, erano i cumuli di oggetti. C’era la merce di magazzini interi accatastata una sull’altra, c’erano caschi da moto impilati sui materassi, e molto altro», spiega Benedetto.

«GRATITUDINE INDICIBILE». Le autorità si scaricano a vicenda le responsabilità e i metereologi spiegano che è un tipo di perturbazione impossibile da prevedere, perché composta da tante piccole scie di nuvole. «L’unica fortuna, rispetto al 2011, è che ha cominciato a piovere di notte, e non di giorno. Altrimenti ci sarebbe stato un conto delle vittime molto più alto», ricorda l’insegnante Zannini. Al momento le scuole sono ancora chiuse, così come le strade, e anche i volontari aspettano che la Protezione civile tolga lo stato di allerta più alto, per ricominciare a pulire. «La gratitudine delle persone, quella è stata indicibile. A spalare per così tante ore ci si stava anche dimenticando che era l’ora di pranzo. Ma chi ha potuto, dalle case non alluvionate, ha cucinato per tutti. A Genova siamo così: invece che piangere preferiamo rimboccarci le maniche», conclude lo studente.

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