Giannino: Al Pdl serve un leader vero per non perdere voti e alleati

Di Oscar Giannino
28 Novembre 2011
Si può fare i moderati, cioè non negare di avere pesanti responsabilità nel fatto di esser finiti scavallati per inconcludenza, non alzare muraglioni ai tecnici, e non tagliare i ponti con la Lega? Pubblichiamo la rubrica "Non sono d'accordo" di Oscar Giannino, uscita sul numero 47/2011 di Tempi in edicola

Pubblichiamo la rubrica “Non sono d’accordo” di Oscar Giannino, uscita sul numero 47/2011 di Tempi in edicola.

Ho sempre riconosciuto a Roberto Maroni una notevole stoffa politica, abbinata a elevata capacità. Non siamo pochi a pensarla così, visto che del tutto trasversalmente la sua gestione del ministero dell’Interno è stata considerata il meglio del governo Berlusconi dal 2008 a poche settimane fa. Per questo, e per la grande importanza che la Lega ha sempre esercitato dal 1999 in avanti perché Forza Italia prima e Pdl poi potessero ambire a governare, ritengo che sia cosa buona e giusta riflettere su quel che Maroni sta dicendo in queste settimane.

Premessa. Maroni si è posizionato come leader naturale della Lega post Bossi, e lo ha fatto premendo nel partito per un cambio di passo rispetto al governo, man mano che diventava evidente che il governo restava alla corda e segnava il passo. Se a un certo punto Maroni si è fermato, e chi nel partito la pensa come lui da Varese a Verona, è stato solo perché la leadership di domani è incompatibile con la rottura con Bossi ieri. Tanto era chiaro che il governo si avviava alla fine, e il conto si farà alle prossime elezioni. La cosa interessante, però, è che Maroni gioca all’attacco, è il più esplicito tra i leader leghisti nelle staffilate al governo Monti, il più loquace nel disegnare uno scenario politico il cui fine – a partire dal sostegno a Monti – sarebbe quello di “tagliare le ali” e riscrivere l’offerta politica italiana. A Monti e ai “tecnici” toccherebbero stangate e tasse fino al 2013. Poi Corrado Passera da superministro allo Sviluppo diverrebbe vero e proprio leader politico. Il fine: drenare voti ex Pdl e unirli al centro di Casini, per proporre al Pd una riscrittura della legge elettorale in cui Lega da una parte e sinistra antagonista dall’altra fossero escluse da ogni possibile alleanza di governo.

Il destinatario vero del messaggio di Maroni, ovviamente, non è Mario Monti e non è Corrado Passera. È il Pdl. Un Pdl del quale Maroni diffida. L’ex ministro non capisce perché Berlusconi non abbia puntato i piedi per le elezioni in 45 giorni. Non ha grandi aspettative su Angelino Alfano. È come se dicesse che sarà meglio che il Pdl si faccia bene i conti. Perché se per caso continuerà a usare toni troppo di sostegno a Monti, allora vuol dire che lo fa perché non troppo disinteressato all’implicita offerta futura descritta esplicitamente e temuta da Maroni. In tal caso – fa capire Maroni – è meglio che il Pdl metta in conto di perdere tutte le città del Nord in cui si vota alle amministrative 2012. Perché con un Pdl che non riservasse a Monti il muro contro muro, Maroni pensa sia meglio non allearsi neanche alle amministrative. Tanto per candidare la Lega da subito, prima delle politiche, a drenare a propria volta una parte di ex elettorato Pdl, del tutto contrario a una qualunque apertura all’eccezionalità della situazione che ha portato all’esecutivo Monti.

Dal punto di vista della Lega, non fa troppe pieghe il ragionamento di Maroni come premessa per assumerne un domani la leadership, e tornare a quel punto magari ai toni misurati dell’uomo di governo, quei toni che il sindaco di Verona Flavio Tosi si sforza di serbare ancora oggi e che tra qualche imbarazzo gli sono valsi la settimana scorsa applausi e riconoscimenti dei leader del Terzo polo.

Il governo delle tasse? Senti chi parla
Ma dal punto di vista del Pdl? I miei sono ovviamente consigli non richiesti. Anzi, probabilmente è meglio che dai consigli mi astenga del tutto, vista la suscettibilità che diversi parlamentari Pdl hanno rivelato negli ultimi tempi, riservandomi arcigni rabbuffi. Come se si fosse rivelato infondato ciò che da mesi e mesi scrivevo in merito alle conseguenze per il governo di una mancata energica ramazzata di dismissioni immobiliari, azzeramento delle anzianità, abbattimento del cuneo fiscale. In ogni caso, e consigli o non consigli, mi sembra elementare buon senso che al Pdl dovrebbe suonare molto più rischioso che alla Lega, accusare da oggi in avanti Monti di mettere nuove tasse, visto che, in definitiva, questa stessa è stata la scelta del governo uscente. Capisco che l’onorevole Rotondi e Scilipoti possano disinvoltamente fare colore in materia, ma il Pdl è meglio che misuri i toni perché la stragrande parte del suo elettorato era ed è – per chi fosse ancora disponibile un domani alla scelta – moderato, non flamboyant come ha sempre vagheggiato il fogliante Giuliano.

Dopodiché la domanda diventa: si può fare i moderati, cioè non negare di avere pesanti responsabilità nel fatto di esser finiti scavallati per inconcludenza – né tremontista né antitremontista –, non alzare muraglioni ai tecnici, e non tagliare i ponti con la Lega? Si può eccome. Certo, serve un leader vero al Pdl. Che prenda sul serio il passo indietro del padre fondatore, osi farsi avanti, e stia dritto, santiddio, dritto e non più in ginocchio.

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