Giustizia italiana

Di Fabio Cavallari
16 Ottobre 2003
“Picchi il coniuge, sparisci e le spese giudiziarie sono sue”

Ivonne è una ragazza francese, nel 1990 ha la sventura di sposarsi con un uomo italiano momentaneamente in Francia per lavoro. Quando, dopo un paio di anni, la coppia si trasferirà nel nostro paese, l’uomo, sino a quel momento assolutamente irreprensibile, svelerà nel giro di poco tempo la sua vera natura. Violento, inaffidabile, è anche affetto da una dipendenza da cocaina che rovinerà la vita di entrambi. Ivonne rimarrà coinvolta in questo ginepraio di “deviazioni” sino a farle odiare il giorno del suo matrimonio. Conoscerà casualmente Carlo che, con la sola forza della propria volontà, riuscirà a farla riemergere dall’incubo in cui si era cacciata. Nel 1998 Ivonne, supportata dal nuovo compagno, si affida ad un avvocato e chiede la separazione: a suo favore deporranno anche i datori di lavoro, testimoni di angherie e soprusi. Seguiranno in questi mesi velate minacce e vere e proprie intimidazioni. Il marito di Ivonne non si presenterà mai in tribunale, farà perdere le sue tracce e si darà, in pratica, alla macchia. La pratica della separazione subirà pertanto biblici ritardi. Lo Stato italiano, in questi anni, non è mai riuscito a rintracciarlo. Dopo cinque anni Ivonne riesce finalmente ad ottenere la separazione. Costo dell’operazione circa 5mila euro e tanti rospi ingoiati con fatica. La sentenza del tribunale non lascia spazio a dubbi. L’ormai ex marito di Ivonne è giudicato in contumacia e a suo carico pendono tutte le spese processuali. Prassi vuole, però, che in assenza del medesimo sia la parte lesa a saldare il debito con avvocato e tribunale. Da questo momento l’assistita, se vuole recuperare i suoi soldi, deve farsi carico in prima persona della ricerca di colui che è stato giudicato inadempiente. Il tribunale scompare dalla scena, in quanto, saldato il conto non ha più nulla da ottenere e l’avvocato dell’assistita ovviamente non ha alcun interesse nei confronti della controparte. Il senso d’impotenza e di solitudine di Ivonne diviene a questo punto insopportabile. Com’è possibile che lo Stato Italiano non sia in grado di rintracciare un suo cittadino? Lo ha mai cercato con convinzione? Perché, nonostante le testimonianze dei datori di lavoro, che hanno dichiarato di aver visto più volte Ivonne in preda al panico e con diffusi ematomi sul corpo, il processo non è mai diventato da civile a penale? Insomma per quale astruso motivo un soggetto, dichiaratamente colpevole, può girare indisturbato con il rischio di perpetuare e reiterare comportamenti incivili, riprovevoli e pericolosi per gli altri?

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