Gli imam a lezione di laicità. Dai cattolici

Di Arrigoni Gianluca
07 Febbraio 2008
Boicottato dagli atenei statali, si terrà all'Institut catholique di Parigi

Parigi
Dal 29 gennaio non sarà un’università statale ma una cattolica, l’Istituto cattolico di Parigi, a poter dare per prima e ufficialmente un brevetto di laicità a una ventina di imam che frequenteranno il corso di “Religione, laicità, interculturalità”. In un comunicato l’Istituto musulmano della Grande Moschea di Parigi, all’origine dell’iniziativa, dice che in questo modo intende poter «far beneficiare i suoi futuri imam e cappellani di una formazione complementare (a quella teologica, ndr), facoltativa e puntuale (400 ore) riconosciuta dall’Education Nationale e aperta sulla società civile, con il solo fine di favorire la loro buona integrazione repubblicana». In termini più espliciti, è per evitare eventuali derive radicali che Dalil Boubakeur, rettore della Grande Moschea di Parigi e presidente del Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm), ha pensato fosse opportuno far conoscere agli aspiranti imam i fondamenti della società francese.
Jean-Philippe Moinet, che come segretario generale dell’Alto consiglio all’Integrazione ha fatto da intermediario tra le parti in questa vicenda, spiega a Tempi che effettivamente «si tratta di un progetto a vocazione secolare, complementare alla formazone teologica ricevuta dagli imam all’estero e nelle molteplici associazioni e correnti musulmane in Francia. La formazione non religiosa è indispensabile perché l’80 per cento degli imam, in Francia, non sono francesi ed è meglio quindi che imparino la lingua e anche il contesto storico, giuridico, istituzionale e culturale del nostro paese. è un progetto che viene da lontano perché è da almeno quindici anni che le istituzioni cercano di dare corpo ad un “islam di Francia piuttosto che all’islam in Francia”, come ha riassunto qualche tempo fa in una formula Nicolas Sarkozy, allora ministro dell’Interno. L’esperimento, perché di questo si tratta, ha il sostegno dello Stato che contribuisce per il 60 per cento al costo delle formazioni. è importante che si sia finalmente concretizzato, ma l’inizio è comunque modesto, perché ai corsi partecipano meno di trenta allievi e siamo quindi lontani dalle effettive necessità. è probabile che, se l’esperimento darà buoni risultati, come speriamo succeda, l’esperienza sarà ripresa da altri».

Le contraddizioni dei laïcards
Rimane il fatto che è stato l’Istituto cattolico di Parigi, con la sua disponibilità, a sbloccare la situazione permettendo la concreta realizzazione del progetto. Le ragioni dell’impasse ce le racconta sempre Moinet: «Dopo quattro anni di discussioni, non si è potuto concretizzare il tentativo di affidare i corsi all’Università statale (la Sorbona, ndr) a causa dell’opposizione non del presidente dell’Università, che ha sostenuto l’iniziativa, ma di una parte dei componenti del mondo universitario. In nome della difesa del principio di laicità sono state espresse obiezioni sia tra le istanze dirigenti dell’università sia tra i sindacati dei professori e degli studenti. E ci sono stati contrasti anche tra le differenti amministrazioni dello Stato. Io ho avuto delle discussioni nel mio servizio, alla direzione dell’integrazione e, opponendomi ad altri, ho sostenuto che in nome proprio dell’integrazione e dell’interculturalità, che è uno dei temi importanti per la politica d’integrazione, c’era una legittimità dello Stato nel favorire una formazione “secolare” agli imam e a chi, in Francia, studente, membro di un’associazone o altro ancora, deve cercare di dialogare con popolazioni di origine straniera».
è interessante rilevare che, per ragioni ironicamente speculari, i cosiddetti difensori della laicità, rifiutando di accogliere nell’università pubblica dei corsi “secolari” per imam finiscono con il ritrovarsi accanto ai dirigenti dell’Union des organisations islamiques en France (Uoif), vicini ai Fratelli musulmani, che preferiscono discutere di laicità tra di loro.
In questo clima malsano dove sembra prevalere il pregiudizio, perfino Jean-Robert Pitte, presidente dell’università Paris IV, che pur non era contrario all’apertura dell’università pubblica ai corsi per gli imam, in una intervista al Figaro ha ironizzato sui laïcards (laicisti) per i quali «una formazione specifica per delle persone che hanno vocazione a diventare imam costituisce in modo chiaro uno strappo alla laicità», ma poi ha affermato pure che «se si tratta davvero di organizzare una formazione alla laicità bisogna chiederlo a un’università pubblica e non a un’università confessionale». Il che vuol dire che, per Jean-Robert Pitte, l’università pubblica dovrebbe avere il monopolio sull’insegnamento della laicità.

Prigionieri dei pregiudizi
Pierre Cahné, rettore appunto di un’università confessionale come l’Istituto cattolico di Parigi, sorride dei pregiudizi altrui e dice a Tempi: «L’università cattolica ha come principio di essere aperta a tutte le persone, senza distinzioni di razza, di religione, a priori, per fornire loro la conoscenza di cui hanno bisogno in una società. Ed è precisamente perchè siamo un’università cattolica che abbiamo potuto realizzare i corsi per gli imam. L’università pubblica, invece, è a volte prigioniera dei princìpi di una laicità che guarda con sospetto ogni tipo di relazione al fatto religioso. Da molti anni l’Istituto cattolico di Parigi rifletteva sulla possibilità di attuare una formazione per lo straniero, colui che viene d’altrove, fornendogli delle conoscenze linguistiche, giuridiche e culturali per permettergli d’integrarsi armoniosamente con la società francese. Quindi trasmettergli anche i valori della Repubblica e tutto un patrimonio intellettuale e morale che costituisce quello che si può definire il contratto sociale. Poco più di due anni fa, all’inizio del mio rettorato, cercavamo dei “clienti” per questo tipo di formazione. Ne abbiamo parlato al ministero degli Interni, e per la precisione all’ufficio dei culti. Ci è stato risposto che era esattamente il progetto che stavano cercando. Abbiamo cominciato a discuterne e, anche a causa del fallimento delle discussioni con l’università pubblica, il nostro progetto si è concretizzato».

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