
GLI UOMINI CHE FECERO L’IMPRESA
Recentemente mi è capitato di incontrare degli amici imprenditori le cui imprese, contrariamente all’andamento generale, stanno vivendo un positivo momento di crescita. Ciò dipende da una capacità imprenditoriale e da un fattore umano che non si possono dedurre dalle condizioni economiche generali. Innanzitutto non si può analizzare l’impresa prescindendo da che cos’è l’uomo che ne è protagonista, o riducendone la concezione. L’uomo non è una ‘risorsa umana’, non se ne può studiare la diversità come se fosse un animale o una pianta, né tanto meno si può parlare di un’astratta concezione di etica dell’economia facendola gestire solo a consulenti esperti della materia. Il fatto che accada è segno di un dualismo grave e diffuso. Occorre invece riflettere su che cosa significhi partire da una concezione dell’uomo non ridotta in partenza e, sulla base di essa, porsi degli interrogativi riguardanti i salari, la crescita aziendale, le responsabilità, la governance dell’impresa, il tipo di forma societaria.
Infatti la centralità della persona non è strumentale a qualcos’altro, è un valore di per sé. Altrimenti, dopo aver capito che motivazione personale e passione al proprio lavoro sono risorse importanti, per esprimerle al meglio si adotta una certa strategia, senza domandarsi da dove nascano queste risorse umane. Questo è il limite della mentalità odierna, perché è come se si avesse paura di ammettere che una persona libera, motivata, che viene da un’educazione familiare autentica, sia la vera risorsa e si vorrebbero utilizzare e sfruttare le risorse umane, come degli apprendisti stregoni che prendono l’anima in cambio di un risultato.
Al contrario, è un problema di rapporto umano con la persona nella sua integralità. Di solito una persona libera è vista come un impedimento, si preferisce un individuo anche non creativo, ma succube e si considera un ostacolo chiunque viva dei solidi legami affettivi e familiari. Un uomo libero, è invece ciò che di meglio si possa sperare, anche dal punto di vista aziendale. Avere una famiglia, dei legami, dei rapporti, dei valori, è un bene per l’azienda, anche se appartengono a qualcosa di diverso dall’azienda. Se impostare il lavoro sulle risorse umane per le aziende è stato un bene, cosa vuol dire allearsi con il valore ultimo, il destino, la felicità della persona? Si tratta di un valore metodologico nuovo. Questo è il vero limite che si incontra oggi. Nessuno più penserebbe di impostare un’impresa secondo il meccanismo taylorista, ma tutti provano una certa resistenza di fronte ad un uomo libero che abbia degli ideali, delle posizioni sulla realtà che non si identifichino con quelle dell’azienda.
*Presidente Fondazione per la Sussidiarietà
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