God save the gossip

Di Laura Borselli
23 Agosto 2007
Indignano le élite, attraggono il popolo, sono inseguiti dai quotidiani. Ecco perché i giornali rosa dettano l'agenda nazionale

L’edicola è di quelle strette tra una via trafficata e un supermarket. L’edicolante la signora ciarliera di mezz’età che saluta volentieri i clienti abituali. Lui arriva, chiede il solito Financial Times. Pausa. «Anche Novella 2000». Lei non gli dà neanche il tempo dell’occhiata imbarazzata del maschio costretto a comprare un giornale per una femmina: «Vuole che glielo nasconda dentro al Financial Times?». Un attimo e la mazzetta presentabile dei giornali del mattino è bella e pronta.
Per noialtri (e non solo noialtre) seriamente appassionati di frivolezze sono tempi bui, perché la solidarietà dei Gad Lerner e degli Edmondo Berselli non ce la siamo mai aspettata, ma quando a passare dall’altra parte è l’edicolante di fiducia un paio di domande bisogna porsele. E allora il dilemma nasce nel cemento di Milano, rimbalza nella radiosa città eterna e rotola fino alla prima fila degli ombrelloni sull’Adriatico: cos’ha di così impresentabile il pettegolezzo? E se è così impresentabile perché milioni di persone lo praticano e ne fruiscono? Sono (siamo) tutti degli sciocchi voyeur? E quei pazzi che in borsa hanno Habermas e Novella 2000 sono degli schizofrenici prodotti della società moderna? Come dice, dottore? Non esistono? Sì, ha ragione. Sarà il caldo. Sì, figurarsi. In borsetta ho solo il ventaglio, vedevo male.
Ci vuole una bella ignoranza per divertirsi a leggere rubriche intitolate “Ok, il petto è giusto” (Di Tutto, neonato settimanale gossipparo di Peruzzo Editore). Chi mai potrebbe ridere a crepapelle di fronte a un virgolettato di Chi ben sistemato sopra una foto di Rosy Dilettuso, diventata famosa a La pupa e il secchione per aver scambiato Dante per «un capo indiano», che posando con il neofidanzato calciatore dichiara: «Mi ha colpito prima alla testa e poi al cuore». Quale sciocco deve tenersi la pancia dal ridere di fronte al titolo: “Figlio mio, per te darei un occhio” a caratteri cubitali su una foto della plurisiliconata Carmen di Pietro che posa con vistoso cerotto sull’occhio e pargolo al seguito (ancora Di Tutto). Per non parlare del cattivo gusto di chi, invece di indignarsi, ride sotto i baffi quando Chi sbugiarda Giovanna Melandri, documentandone la presenza, da lei sempre caparbiamente negata, a casa dell’impresentabile Briatore per una festa di capodanno.
Si ride e ci si sollazza, giusto il tempo che la tinta s’asciughi o l’estetista ci infili sul lettino della ceretta. Poi accade che Repubblica (e non un rotocalco da servette) pubblichi la lettera di Veronica Lario a Silvio Berlusconi, che la storia Melandri-Briatore finisca, anche quella, suoi maggiori quotidiani nazionali, che la foto della macchina di Silvio Sircana in una via frequentata da transessuali venga imboscata e poi ritirata fuori da un quotidiano, e il gioco si fa più serio. Col climax dei personaggi coinvolti nei vari casi (solo pochissimi quelli citati) cresce proporzionalmente il disagio.
Persino Michele Serra è sceso dall’Amaca qualche tempo fa per dire dalle pagine dell’Unità che «il gossip è peggio della cocaina come piaga sociale». «Suvvia, nessuno è mi stato ricoverato per overdose di gossip!», commenta a Tempi Carlo Rossella. Sarà un caso, ma l’ex direttore del Tg5, oggi presidente di Medusa Film, nel Catalogo dei viventi di Giorgio dell’Arti e Massimo Parrini, è stretto tra Rossanda Rossana e Rossellini Isabella. Tra la tenace ragazza del secolo scorso e la discendente della più dolce vita che questo stivale abbia mai calzato, c’è Carlito, come lo chiama Dagospia. «Quante volte mi hanno puntato il dito contro: Rossella mette il gossip nel telegiornale! Ma un telegiornale oltre ad essere autorevole, deve anche divertire il telespettatore».

Salvateci dalla via di mezzo
Insomma: una testa ogni tanto ha bisogno pure di una messa in piega. Certo che cotona che ti cotona, il crine si sfibra e la cofana si gonfia a dismisura. E poi all’uscita dal parrucco si spaventano i bambini. E se solo non fosse troppo caldo, potremmo dedicare questo scampolo agostano a un’ardita analogia tricologica tra la politica e una sciura della città bene che esagera col cerone e con i bigodini. Perché, continua Rossella «Michele Serra ha ragione su una cosa molto importante. Da grande osservatore della società italiana quale è denuncia infatti una gossippizzazione della politica, dal Parlamento alle notti al Billionaire. Che poi le notti al Billionaire sono divertenti, per carità! Ma bisogna dire che sono gli stessi politici ad offrire di sé un’immagine gossippata».
Insomma, i soliti stronzi ossia i giornalisti e politici (mancano gli avvocati ma tanto prima o poi arrivano), la colpa se la devono dividere a metà. «Quotidiani prestigiosi come Washington Post e New York Times hanno pagine intere dedicate al gossip, forse la soluzione è proprio quella: proporlo in spazi definiti». Uno pensa che una fenomenologia delle prurigini da bigodino sia cosa facile e invece si ritrova coinvolto in una dissertazione che è tutta un distinguo e una specifica. E siamo a un passo dal pensare che forse semplicemente “ci vuole una via di mezzo”, una cosa che al solo pronunciarla esplode una dermatite folliniana. No, non via di mezzo, «eleganza», dice Carlo Rossella. E basta una parola a spalancare i cuori di noi goderecci bacchettoni, cresciuti mangiando senza i gomiti sul tavolo a suon di sberle e mettendoci le dita nel naso non appena la mamma si girava; peccatori e incoerenti di professione e per questo incapaci di indignazione. «Vede, io glielo dico. Roma è ormai la città del peccato. Io esco di casa a Roma e vedo donne che girano completamente svestite e vanno persino in Chiesa così conciate e quei poveri sacrestani. È una vergogna!».
«Ai miei tempi, quando una donna diventava una star del cinema doveva girare in occhiali da sole e foulard se non voleva essere fermata ogni due metri; adesso basta che si vesta». Così parlava un certo Barney Panofsky, ubriacone maschilista produttore di tv spazzatura. Tribuno di immoralità e campione d’eleganza.

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