Governo etico mondiale?

Di Tempi
28 Aprile 1999
Taz&bao

I Anche l’establishment di Washington, da Henry Kissinger a Colin Powell, da Newsweek all’Economist nutre qualche perplessità su questa guerra, che vi sia una discrasia tra i principi proclamati che dovrebbero dare sostanza ideale al conflitto e la corposità geopolitica ed economica degli interessi in gioco. Quando il divario s’accentua troppo si manifesta un gonfiore dell’anima, un’escrescenza eticizzante. Sembra che la guerra venga fatta per motivi etico-umanitari, mentre in realtà si impone un non detto. E ciò crea fastidio.

II C’è una ragione di antropologia culturale degli attuali governanti del mondo, da Bill Clinton, a Tony Blair, sino ai leader socialisti, tutti cresciuti nelle temperie culturali del ’68, per la quale i comportamenti politici devono sembrare ispirati a motivazioni di bontà, muovere sempre in difesa dei diritti conculcati. È una morale da boy-scout che vogliono intervenire a fin di bene, aiutando la vecchietta a traversare la strada anche se costei è recalcitrante. Con la differenza che i governanti dei paesi Nato sono armati di tutto punto. Convinti di fare il bene sono weberianamente lontani dall’etica della responsabilità, e non vedono gli effetti devastanti della loro scelta: 60mila profughi prima dei bombardamenti, un milione dopo.

III C’è un ruolo ideologico dei buoni sentimenti, l’idea di stare sempre dalla parte giusta, che corrisponde a uno stato di sovreccitazione etica senza del quale l’impatto politico della guerra non reggerebbe. Anche se mi sembra assurdo parlare di Olocausto per l’esodo dei kosovari, e ancora più assurdo demonizzare Milosevic equiparandolo a Hitler, per di più il giorno dopo che i nostri ministri hanno stretto la mano a Kabyla.

IV L’eticità dei principi assoluti segna la fine di ogni realismo, esclude ogni calcolo razionale tra costi e benefici.

Io mi chiedo quando finirà questa guerra. La guerra in Iraq aveva un obiettivo circoscritto, cacciare le truppe di Saddam Hussein dal Kuwait invaso, e un fine geopolitico chiaro, che è stato raggiunto tant’è vero che, sconfitto Saddam, in Medio Oriente palestinesi e israeliani hanno subito ricominciato a dialogare. Se però
sull’obiettivo prevale l’intenzione, e si fa una guerra per far fuori un dittatore, il pericolo aumenta. Perché
devi stabilire chi è dittatore e chi non lo è. E in base a quale legittimazione internazionale lo fai? Il realismo porta a compromessi. L’assolutezza etica impedisce qualsiasi compromesso.

V Io ho l’impressione di doppiezza e di ipocrisia giustificata. Identificare la politica e la morale non va bene per giusticare una politica estera. Non che la politica debba essere separata dalla morale, ma la coincidenza tra l’etica e la politica è pericolosa, perché può produrre un virus mondiale, fomentando l’idea folle di liberare il mondo dal male.Il che non solo è culturalmente inaccettabile, ma politicamente destabilizzante.

La prima microetnia che si sentisse oppressa potrebbe far appello alla Nato e trascinarla in un conflitto infinito. È la stessa filosofia del tribunale penale internazionale, altra istituzione da maneggiare con cura.

VI Vogliamo un governo mondiale? Immagino che lo vogliamo democratico. Allora dobbiamo sapere che essendo la Cina più numerosa della Repubblica di San Marino peserà molto di più. E come verrà gestita la religione dei diritti umani? Se la Cina s’oppone, il governo mondiale che prevede l’esclusione di fatto di un miliardo di cinesi, perde legittimazione. Non ci vuole Joseph de Maistre per capire che non esiste visione più irrealistica di questa. Il governo mondiale è un sogno che s’è già trasformato in un incubo. Esiste già un organismo sovranazionale, ed è l’Onu, che non funziona assolutamente, per il gioco dei veti reciproci tra i cinque paesi membri del Consiglio di sicurezza. I diritti di cittadinanza universale sono un’idea balzana che non tiene conto della storia, delle tradizioni nazionali, dell’elemento etnico. Che vogliamo fare? La fine della storia di Fukuyama?

Ritengo che la prima cosa da fare è limitare il potere, per evitare che il potere abusi del potere.

Ma se il potere mondiale abusa di se stesso, non c’è posto al mondo dove andarmi a rifugiare.

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