Grillo, il genovesizzatore universale

Di Mattia Feltri
22 Maggio 2012
Sono 29 anni che questo (ex) comico spulcia le bollette della luce e s’incazza perché il colluttorio costa 16mila lire anziché mille. Eppure gli è bastato darsi un programma funambolico e avvinazzato per diventare il capo dell’opposizione. Politica

Citazione non testuale, ma quasi: «Bettino Craxi ha fatto un comizio a Milano ed è andato sul palco con il cane Armaduk, giuro, e ha detto che è socialista… Armaduk, socialista… Che poi sarà vero, con tutto quello che si mangia…». Era Beppe Grillo, era il 1983 ed era la Rai (Armaduk, per i più giovani o distratti, era il cane che accompagnò Ambrogio Fogar in un celebre viaggio polare). Lo si premette perché, secondo la storia spiccia, il Beppe Grillo antisistema era piombato sulle nostre teste, come la folgore di notte, e addirittura suo malgrado, o a sua insaputa, la sera del 15 novembre 1986, durante una puntata di Fantastico 7 condotta da Pippo Baudo. Battuta neanche strepitosa, soltanto feroce, oggi arcinota come un’eureka: Grillo sceneggia una conversazione fra Craxi e Claudio Martelli in Cina, con quest’ultimo che chiede come facciano, in un miliardo e tutti socialisti. Perché?, chiede Craxi. A chi rubano?, spiega Martelli. Fra l’altro il pubblico non risponde col boato, tutt’altro. Si sentono poche risatine, dopo qualche istante di imbarazzo arriva l’applauso. Ed è difficile oggi dire se l’imbarazzo dipendesse dall’attacco frontale o dalla freddura. Si direbbe la seconda: infatti poi Grillo saluta e Pippo Baudo non è mica lì a fare i conti della liquidazione, mica deglutisce terreo, si sente la sua voce fuori campo giusto un po’ delusa: «Te ne vai già?». Poi riappare sorridente e padrone della scena. Soltanto qualche minuto più tardi – e probabilmente qualche minuto durante il quale ha ricevuto una telefonata o due – Baudo sfodera la miglior faccia da funerale, è costernato e indignato e si produce nel famoso «noi ci dissociamo». Certe volte, conclude Baudo, «i comici smarronano».

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Fatto sta che stavolta Bettino Craxi si infuria. Non è così sciocco come qualche successore da pronunciare un pubblico editto di Sofia, ma di certo Beppe Grillo scompare dalla Rai per un paio d’anni. La mitologia anche oggi può tutto, e c’è stato chi ha avuto la fantasia di individuare in quella serata e in quella battuta l’inizio della fine della Prima Repubblica (sarà il decimo o centesimo minimo evento a cui si fa risalire il ciottolo che rotolando diverrà l’enorme frana). A noi preme, invece, mostrare il Beppe Grillo di venticinque anni fa perché era già il capopopolo di oggi. Soltanto, sentiva qualche obbligo in più verso l’arte del far ridere, piuttosto che verso quella di far incazzare. Se si va su YouTube, lo si coglie chiaramente. Perché Grillo avrà di nuovo uno show tutto suo soltanto nel 1993 (recital in due serate, poi ne parleremo), ma già nell’88 è a Sanremo e tiene un monologo esilarante in cui, piegato in due, sfoglia il contratto con tutte le penali cui dovrà sottostare se, poniamo, dovesse dire che «i socialisti rubano»; e spunta come il sole all’alba il compimento definitivo del comico tribuno, il volto si contrae inatteso in una smorfia rabbiosa, il tono è ruggente di disprezzo, è rancore cristallino: delle penali non me ne frega niente, dice Grillo, perché voi «cari politici, non mi interessate più… Non ci interessate più». Trascorre un solo anno, siamo nel 1989 sempre a Sanremo, e Grillo esordisce così: «Là dove c’è la televisione non esiste la verità, mai…». Ecco, a questo giro non c’è nemmeno il tentativo di divertire, non è nemmeno la chiosa pedagogica a una battuta, è proprio predica laica. Siamo ancora negli anni Ottanta. Tutto il resto sarà ripetizione, evoluzione e imprevisti approdi.

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Si accennava alle due puntate del recital del 1993. È tutto su YouTube, andate a vedere, anche perché – e qui siamo prossimi alla banalità – si rimane incollati allo schermo, Grillo è uno strepitoso monologhista, le sue sono già travolgenti requisitorie contro il mondo invisibile dell’intrapresa, della massoneria, delle multinazionali, della farmaceutica, della finanza, delle banche, della politica oscura, dei servizi segreti deviati e deviatissimi, è implacabile allusione, è il dettaglio illuminante dell’uomo che ha perduto il senso terreno della manualità (ah, che bell’anticipo su qualche ministro recente…), versa dell’acqua da una caraffa in un bicchiere e la caraffa fallisce clamorosamente, come succede a tutti noi in cucina, l’acqua non sgorga, scorre lungo la parete della caraffa, lungo il braccio di Beppe Grillo, gli inzuppa la camicia, l’unico modo per raccattare l’acqua, dice Grillo, è mettere il bicchiere sotto il gomito; poi impugna un colluttorio, costa sedicimila lire, è fatto di acqua e di un concentrato alla menta che costa mille lire al litro. Il genovese impazzisce, tutto il mondo si genovesizza, si ride da turlupinati, viene su dallo stomaco il sapore della bile, il suono dello sghignazzo è già urlo rabbioso. Ma guardate che davvero Grillo è fatto e finito, è il capo dell’opposizione. Soltanto due anni dopo andrà nel consiglio di amministrazione della Stet e lì terrà tutti inchiodati per un’ora buona a spulciare il bilancio come farebbe ogni oculato capo famiglia radunando attorno al tavolo la moglie spendacciona e i figli esosi. Gli chiede conto di questa e quella cifra, una battuta dietro l’altra, un’infinita amarezza comica perché Grillo si rende conto che deve essere uno show, per funzionare, e altroché se funziona. Ma chi di noi non aveva goduto a vedere quella platea di incravattati seppelliti da una risata? «Siete un’associazione a delinquere di stampo telefonico», dice a un certo punto Grillo, e lì c’è uno del cda che non la manda giù, lo si sente protestare, così non si fa, non esageriamo; partiranno le querele e Grillo ne uscirà trionfante con un’assoluzione per avere esercitato il diritto di critica da azionista. Ecco, è il 1995. Ma come è possibile stupirsi nel 2012, diciassette anni dopo? Bisogna essere sordi e ciechi per gridare all’antipolitica e finita lì, come se Grillo fosse piombato sulle nostre teste un giorno di primavera, come se Grillo non fosse da due decenni almeno uno dei massimi interpreti della ripugnanza verso il sistema.

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Le conseguenze sono state del tutto casuali, ma non inattese. Grillo in televisione non ci è tornato più, a parte qualche “discorso all’umanità” pronunciato per un paio di capodanni sui canali di Telepiù. È il Grillo di cui sappiamo o dovremmo sapere tutto, ecologista, pacifista, conservatore e progressista al tempo stesso (è antinuclearista, contro i treni ad alta velocità, ma è un internettiano della seconda ora, un profeta della democrazia partecipativa contro la democrazia rappresentativa), è demagogico, facile, incisivo, ipnotico. Si dedica soprattutto agli spettacoli teatrali, sono performance di una bellezza allucinante, durano oltre due ore durante le quali (bravissimo è stato Marco Pannella a cogliere il punto) Grillo dimostra anzitutto una forma fisica smagliante, non perde un colpo, non si siede, ha annullato il palco, recita in mezzo al pubblico camminando e urlando, la memoria è d’acciaio, ridipinge le nostre giornate secondo il prodotto di un complotto planetario del quale – grazie al cielo – c’è lui a svelarci i prodromi, a farci intuire fra le nebbie i protagonisti, a indicarci lo sbocco vomitevole, a riconsegnargli la dimensione ridicola di tutte le cose umane. È planetariamente scorretto, Beppe Grillo. Non salva nessuno. Nemmeno gli indiscussi eroi laici della parrocchiona italiana, nemmeno Rita Levi Montalcini, nemmeno Umberto Veronesi, «non dateli i soldi a quelli lì!» che si fanno il gruzzolo sulla disperazione di noialtri.

I salvatori del porco mondo
Adesso fanno davvero ridere quelli che ricordano quella disgraziata sentenza grillesca a proposito dei polverosi orizzonti dell’informatica e delle rete, un raggiro, diceva Grillo, una falsità, vi stanno fregando tutti, urlava. E però si ricrede molto presto, apre il suo blog senza nemmeno prefigurare dove il blog lo porterà, lui si accontenta di avere un grande armadio, un archivione aperto a chi ci voglia buttare l’occhio, ci infila considerazioni quotidiane, naturalmente sono sempre e da sempre le geremiadi sue, analisi al microscopio della bolletta della luce, rivisitazioni alla Michael Moore sull’abbattimento mostruoso delle Torri Gemelle a New York, elenchi di cibi con tanto di marca che secondo i suoi personalissimi laboratori di analisi contengono sostanze omicide, liste di proscrizione di condannati residenti in Parlamento, studi eccentrici sulle energie rinnovabili e alternative, composizioni meno che palliative di medicinali venduti senza principio attivo in Angola o chissà dove. Nel giro di pochi mesi quel blog diventa la nuova Tortuga, non c’è vascello pirata che non vi trovi approdo, chiunque sia offeso dal secolo si raduna lì, chiunque conservi qualche recriminazione grande o piccola da sfogare, chiunque non si sia fatto largo perché la società è cinica e corrotta, chiunque si senta escluso, vessato, preso per il naso e preso per il collo. Insomma ci vuole niente perché quell’angolo di sfogatoio non diventi il punto di partenza della riscossa. Ma che ci stiamo a fare qua, si chiedono Grillo e le sue centinaia di migliaia di visitatori. Vogliamo piangerci addosso tutta la vita? O vogliamo fare qualcosa per salvare questo porco mondo?

Ora chiamare tutto questo “antipolitica” è una sciocchezza imperdonabile. Questa è né più né meno politica. C’è un leader, c’è un simbolo, ci sono dei candidati e c’è un programma. Se persino questo arruffapopoli, se persino i suoi toni da brivido, se persino il suo programma funambolico e avvinazzato, se persino questo gigantesco e liberatorio rutto sono più credibili delle filastrocche istituzionali, bè, la colpa non è di Beppe Grillo.

tratto da Tempi 20/2012 

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