
Formigoni riforma il mercato del lavoro. «Un modello per l’Italia»
La giunta di Roberto Formigoni sta per approvare un pacchetto di misure per lo sviluppo e l’occupazione. Al Pirellone l’hanno ribattezzata legge “Cresci Lombardia”: il testo è stato proposto alle parti sociali il 26 gennaio e dovrebbe essere varato domani. Di che si tratta? Anticipare le trattative nazionali: mentre oggi si apre il tavolo permanente tra sindacati e imprese sulla riforma del mercato del lavoro, la Lombardia si porta avanti. Formigoni ha rivendicato il diritto della «Regione più produttiva d’Italia» a mettere mano alla questione, e i numeri sembrano dargli ragione: secondo un’indagine della Camera di Commercio di Monza e Brianza, nei primi tre mesi del 2012 in Lombardia le assunzioni previste dalle imprese rivolte ai giovani under 30 sono circa 9700.
Il progetto di legge “misure per il sostegno, lo sviluppo e l’occupazione” prevede la ricollocazione dei disoccupati attraverso un contatto tra Regione (che fa da garante), sindacati e imprese. All’impresa spetta il compito di fornire al dipendente un’indennità di terminazione di contratto, diversa a seconda del singolo caso, in cambio della rinuncia del lavoratore a rivendicazioni giudiziali. Per i media si tratta di una rinuncia all’articolo 18, e la Cgil ha parlato di «inciviltà». Qualcosa, però, non torna: se così fosse, perché si registra la totale contrarietà di Confindustria, che accusa la Regione di ingerenza e lamenta costi aggiuntivi per le imprese? Tempi.it ha chiesto a Walter Galbusera, segretario generale lombardo della Uil, di fare un quadro della situazione.
Quello che si sta introducendo è il tema della contrattazione regionale. Quali sarebbero le conseguenze?
Si tratta in sostanza di proporre il modello Ichino a livello regionale, e noi lo giudichiamo molto interessante, equilibrato, realistico: è una sperimentazione utile, che potrebbe fare da volano a una soluzione nazionale. Mi sembra che le levate di scudi rivelino una profonda contraddizione: da una parte l’invito a cambiare, sottolineando l’esigenza che nulla sarà più come prima, dall’altra un’evidente resistenza nel trattare gli argomenti, concretamente. È poco lungimirante. Si parla di ricollocare i lavoratori espulsi, mi sembra un tema fondamentale. Purtroppo si è innestata una battaglia politica, e si rischia di perdere un’occasione importante.
Qual è il punto che sta scatenando tutte queste polemiche?
Si tratta dei cosiddetti “fondi paritetici interprofessionali” (Articolo 1, comma 2). Finora è stato un accordo tra le parti a indirizzarne l’utilizzo, nella bozza si prevede che debbano operare nell’ambito delle direttive della giunta regionale. Attualmente, sulla retribuzione di ogni lavoratore l’azienda paga uno 0,3% destinato ad azioni formative volte a qualificare, in sintonia con le proprie strategie aziendali, i lavoratori occupati. Il più noto è Fondimpresa, un organismo paritetico inter-professionale con sede in Roma, costituito da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil. Si tratta di strutture di natura semi-pubblica, o semi-privata, promosse dalle organizzazioni sociali ma controllate istituzionalmente. Negli ultimi tempi ci sono stati accordi per poter utilizzare questi fondi per realizzare politiche attive del lavoro. Anche la cassa integrazione è stata aiutata da queste risorse, data l’emergenza, anche se nascono con finalità formative.
Gli imprenditori temono quindi di perdere il controllo su questi fondi, che danno un po’di ossigeno alle aziende?
Per questo si levano le barricate. Anche noi abbiamo fatto la stessa osservazione, chiedendo alla Regione di individuare un fondo integrativo. Vogliamo dunque giungere a un’intesa, superando una logica di assistenza, slegata dalla ricerca di un lavoro alternativo. Il dibattito è aperto, ma dobbiamo fare il massimo sforzo possibile, proponendo, non distruggendo.
E l’articolo 18?
La Regione, anche volendo, non può sopprimerlo. È ovvio. Inoltre non si tratta di un impianto calato dall’alto: Anche se fosse scritto, varato e approvato a tempi record, può produrre effetti solo se le parti sociali lo utilizzano. Il fuoco di fila è assolutamente fuori luogo, oltre che controproducente. Queste polemiche generano solo confusione. E distraggono da un punto fondamentale: il mercato del lavoro ha una natura duale, contratti a tempo indeterminato e precari. Con l’attuale situazione economica, nel giro di una decina d’anni precari saremo quasi tutti. Per questo l’attenzione va rivolta in quella direzione.
Le resistenze maggiori al progetto lombardo arrivano da Confindustria Lombardia o dai sindacati?
In questo scenario tutti hanno paura: la Cgil pone questioni ideologiche, e gli imprenditori temono di spendere di più. E sono le premesse sbagliate a creare quest’asse tra Confindustria e Cgil, che è paradossale: sembra un governo di unità nazionale fatto dalle frange estreme. Il comportamento degli industriali è particolarmente discutibile. Capisco la preoccupazione, e non voglio minimizzare, ma non si può pretendere di cancellare l’articolo 18 senza affrontare il tema delle garanzie. È un’azione di difesa da danno temuto, ma se non agiamo i problemi saranno ben maggiori. Stiamo costruendo un progetto di cambiamento, e nessuno può permettersi di sottrarsi al confronto.
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1 commento
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La CGIL può dire quello che vuole, ma di fatto la procedura che nella realtà viene seguita (parlo per esperienza diretta) è quella delle dimissioni in cambio del pagamento di un certo numero di mensilità. Il problema non è l’articolo 18,che di fatto vale solo sulla carta (se l’azienda ti vuole mandare via trova sempre il modo di farlo), ma che i signori imprenditori vogliono totale libertà di assumere e di licenziare a costo zero per loro.
Ben venga l’iniziativa della Regione, è ora di finirla con i tavoli permanenti con i professionisti del veto.