Guerra in Ucraina. È necessaria una profezia della pace

Il conflitto è in stallo, che fare? Il suggerimento di monsignor Delpini e la certezza che solo un "imprevisto impensabile" può salvarci

Kramatorsk, Ucraina, 4 luglio 2023 (Ansa)

Questa settimana ho potuto incontrare, insieme al presidente lombardo Attilio Fontana, l’ambasciatore dell’Ucraina in Italia Yaroslav Melnik, accompagnato dal console generale a Milano Andrii Kartish. L’ambasciatore è venuto per ringraziare la Lombardia della solidarietà concreta mostrata verso il popolo ucraino, da ultimo con un progetto di cooperazione internazionale che ha coinvolto tutte le ong lombarde mobilitando otto iniziative concrete di assistenza sanitaria, psicologica e sociale, rivolte soprattutto ai bambini, in altrettante aree del Paese.

Quanti morti?

L’occasione ovviamente è stata preziosa anche per fare il punto sul conflitto e confrontare opinioni sulla sua evoluzione. Mai come oggi la situazione in Ucraina sembra bloccata dal punto di vista militare. E mai come oggi nei dibattiti sui vari “media” e nell’opinione pubblica sembra mancare il tema più drammatico, ovvero la conta pressoché ignota delle vite umane che ogni giorno vengono sacrificate da una parte e dall’altra, benché qualche stima circoli: la Cia, ad esempio, parla di 26.700 vittime civili, mentre tra i soldati il New York Times parla di 120 mila morti tra i russi, con i feriti che vanno dai 170 mila ai 180 mila. Nell’esercito ucraino i morti sarebbero stati finora 70 mila, a cui si aggiungono tra i 100 mila e i 120 mila feriti. In totale, quindi, i morti tra i militari sarebbero circa 190 mila. Si tratta di numeri spaventosi!

Alla marcia per la pace

In nome di una guerra tanto assurda quanto oggi oggettivamente in stallo, anche a causa di una controffensiva che sembra non raggiungere i propri obiettivi e non procede secondo le ottimistiche aspettative di Volodymyr Zelensky. Come spiegano i media più informati, i russi, infatti, si sono organizzati minando chilometri di territorio sulla linea del fronte con una linea difensiva costituita da più livelli di trincee, denti di drago, cavalli di Frisia, protetti dall’artiglieria e dall’aviazione (nei cieli la Russia ha un netto predominio) che impediscono materialmente la conquista del territorio.

Dunque, mai come oggi si palesa come necessaria una profezia di pace. Le associazioni e i movimenti della Chiesa di Milano hanno organizzato assieme alla Diocesi, nei giorni scorsi, una marcia per la pace, a cui ho preso parte. Mi ha colpito intensamente l’omelia conclusiva di monsignor Mario Delpini che ha posto un tema cruciale ed irrinunciabile. Egli ha esordito asserendo un concetto inconfutabile: «Non possiamo nascondere il sospetto di essere insignificanti, noi vogliamo la pace, siamo contro la guerra. Ma chi ci ascolta? Non ci ascolta l’aggressore, non ci ascolta chi aggredisce il Paese vicino. Non ci ascolta l’aggredito perché deve difendersi, non ci ascoltano i Capi di Stato perché non trovano una via in cui la diplomazia superi questa situazione insostenibile. Non ci ascolta chi vende armi e fa affari. Chi ci ascolta? Siamo desolati per questo sospetto di essere irrilevanti. Ringrazio chi è qui, a dire che ci vuole la pace. Ma chi ci ascolta?».

Un elemento imprevisto

La domanda dell’arcivescovo non solo è fondata ma intrisa di legittimo realismo. Che senso ha oggi una profezia per la pace? Che rilievo ha? Che incidenza ha? Occorre assumere un’altra prospettiva che è proprio quella che ha indicato monsignor Delpini. Ci ascolta Dio! Ed Egli può anche l’impossibile. Il fatto che ci ascolti pone la questione della pace in una posizione che trascende il mero e pur necessario equilibrio di fattori umani e chiama in causa un elemento esterno imprevisto.

Quante volte questo è capitato nella storia, anche recente! Chi si sarebbe aspettato nel 1989 il crollo del muro di Berlino e immediatamente dopo il disfacimento dell’impero sovietico senza lo spargimento di neppure una goccia di sangue? Accettare l’idea che dentro la storia umana agisca una dinamica diversa da quella costituita dal solo meccanico incastrarsi dei rapporti di forza e dei poteri umani è sempre arduo, eppure questa è una realtà talmente evidente che non dovremmo ignorarla. Nella storia misteriosamente agisce anche Dio, però di solito lo fa con modalità e forme sempre diverse da quelle che noi ci immaginiamo. Basti pensare a quello che è capitato a Maria: l’incarnazione, il fatto cristiano per eccellenza, è avvenuto con una forma che ha sconvolto la vita di questa giovane donna ebrea, secondo modalità che ella non si aspettava e che certo non erano nei suoi piani.

Speranza contro la speranza

E basta guardare a tutto ciò che è capitato nella storia della Chiesa da quel momento in poi. Dio ha piani diversi dai nostri, “tanto quanto dista l’Oriente dall’Occidente, le mie vie non sono le vostre vie” ma il fatto che noi non li comprendiamo non significa che non esistano! Al tempo stesso, questo è un fatto che rende ragionevole assumere una profezia di pace in un tempo dove tutto sembra urlare il contrario.

«Spes contra spem», “la speranza contro la speranza” come Paolo di Tarso scriveva nella Lettera ai Romani, e come poi Giorgio La Pira, disse ripetutamente per sottolineare il proprio atteggiamento di fronte a chi dubitava o voleva contrapporgli la crudezza delle circostanze reali, simbolo stesso dell’idea: «Osare l’inosabile».

Ebbene, dentro questa consapevolezza c’è qualcosa che va contro i fattori umani, ma che rende ragionevole questa affermazione: la certezza che Dio agisce nella storia. Ed è per questo che ci vuole più forza a fare la pace che a fare la guerra. Perché la pace non è l’essere lasciati in pace. Essa nasce dalla capacità di affermare un bene che va al di là di tutte le evidenti ragioni contrarie che la realtà suggerisce. Ma è solo chi ha questa capacità di profezia che può davvero cambiare la storia, introducendo la categoria dell’imprevisto che va oltre i meri calcoli umani. E «quando l’imprevedibile è accaduto, l’impossibile è a portata di mano».

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