Habemus Bush (maybe)

Di Lorenzo Albacete
15 Dicembre 2000
L’establishment dei Democratici non si rassegna alla sconfitta e prepara l’attacco (a mezzo stampa) al (probabile) nuovo inquilino della Casa Bianca. Bush invece si sente in sella e studia il suo primo discorso presidenziale. Cioè un appello all’unità nazionale e, forse, speciali “grazie” per Clinton

Mi trovavo in Florida quando la Corte Suprema di quello Stato ha annunciato che i voti delle elezioni presidenziali rifiutati dal conteggio meccanico avrebbero dovuto essere ricalcolati manualmente. Ero là anche meno di ventiquattr’ore dopo, quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ordinato di fermare la conta. La reazione a entrambe le decisioni è stata assolutamente la stessa: “Caspita!”. Tutto qua. A parte la passione dei pochi davvero interessati all’esito del confronto, la maggior parte della gente ha accolto le notizie come fossero le puntate più recenti di quella soap opera di prima serata che per oltre un mese ha costituito il successo maggiore delle televisioni. Questa reazione è stata tipica soprattutto in Florida, che costituisce il teatro degli avvenimenti e dove la popolosa comunità ispanica è abituata alle telenovele. Si discutono gli sviluppi più recenti, ci si accende di passioni contrastanti, ma la vita continua a scorrere sostanzialmente invariata. Ricordiamolo: quasi metà degli elettori statunitensi non si è nemmeno dato la pena di recarsi alle urne e quindi non potrebbe essere meno interessata di così alla soluzione del dramma.

Caccia allo scoop
Gli organi d’informazione, gli avvocati, gli attori e gli aficionados della politica stanno vivendo un momento di sogno. Quando tutto sarà finito, si sentiranno proprio come i grandi tifosi di baseball dopo il campionato mondiale. Ma il tutto sembra avere l’intenzione di andare avanti ancora per un bel po’. Alcuni miei amici che sostengono attivamente Al Gore hanno intenzione, qualora vincesse l’esponente Republicano, di fare tutto quanto sarà loro possibile per rendere impossibile la presidenza a George W. Bush. Già ci sono centinaia d’investigatori sguinzagliati a cercare tracce di azioni illegali e di scandali, che sognano udienze di fronte al Congresso capaci di costringere Bush a difendere costantemente la legittimità del proprio governo. La maggior parte delle persone — persino alcuni sostenitori di Bush, che lo hanno ammesso in mia presenza — è convinta che Gore abbia ottenuto il più alto numero di voti espressi. Tuttavia il presidente degli Stati Uniti non è, secondo la Costituzione, eletto dai voti popolari. I cittadini americani non votano direttamente per il presidente: il presidente è eletto dai rappresentanti degli Stati, e i parlamenti dei vari Stati sono liberi di decidere come debbano essere scelti gli elettori, rispettando alcune condizioni generali fissate dal Congresso: che la normativa elettorale sia nota a tutti, che essa non venga alterata per favorire uno dei candidati, ecc.

I guai della politica per via giudiziaria
Si è creata una situazione paradossale: i Democratici, che per impostazione ideologica appoggiano un forte governo centrale, stanno insistendo che quello che succede in Florida non è di competenza del governo nazionale, poiché la Corte Suprema di quello Stato dispone dell’autorità necessaria per risolvere tutti i conflitti. Gli avvocati di Bush, dall’altra parte, protestano che la legge federale è stata violata dalla decisione della Corte Suprema della Florida di chiedere il riconteggio manuale dei voti contestati in assenza di direttive applicabili alla stessa maniera a tutte le contee dello Stato. La Corte Suprema deciderà su questo. A questo punto, dunque, il numero effettivo dei voti ottenuti dai due candidati è irrilevante: quel che importa è se lo Stato della Florida sia o meno costituzionalmente obbligato a contare i voti rigettati dalle macchine conteggiatrici. Va però anche considerato che la legge sulla libertà d’informazione permetterà ai reporter di avere accesso alle schede votate e non conteggiate e in un modo o nell’altro esse saranno contate, magari quando Bush sarà già stato insediato come presidente. I suoi avversari useranno questa arma per indebolire la sua presidenza. Accetterà l’opinione pubblica questa forma estrema di partigianeria? Anche qui c’è un aspetto paradossale: un Bush presidente potrebbe trovare consolazione nel fatto che gli americani videro a suo tempo gli sforzi senza tregua per l’“impeachment” contro Clinton come un tentativo di parte di inficiare la sua elezione e per questo li respinsero. Se il presidente uscente dovesse essere inquisito una volta decaduta la sua carica, un Bush presidente potrebbe graziarlo in nome dell’unità nazionale rendendo così difficile per i Democratici condurre una campagna di attacchi ripetuti contro la sua legittimità. Naturalmente anche Gore ha ancora qualche chance di uscire vincitore. Si può immaginare cosa farebbero a quel punto i suoi avversari conservatori. Ma in tutti i casi la maggior parte della gente avrebbe una reazione di rifiuto, perché una cosa è certa: sin dall’inizio alla gente non è piaciuto veramente nessuno dei due candidati. Forse gli eventi di questa elezione spingeranno i partiti a scegliere, in futuro, uomini e donne “veri” e non semplici portavoce di particolari interessi ideologici.

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