
Handicap e terrore
Il mio nome non è Ciampi, primo cittadino: però sono cittadino, cui peraltro non è precluso di diventare primo (ma richiede troppa fatica). Rispondo io al suo posto. Non perché Lei ne abbia il diritto, come Lei pretende dicendo: “Non può negarmi una risposta”: ma vi rendete conto che questa è la frase del torturatore? La persona, portatrice di handicap – torturata, da questo si fa torturatrice – esige dal Presidente “di farmi riconoscere il diritto all’eutanasia”. Ma il nocciolo delle sue dichiarazioni non è l’eutanasia, né il suicidio che prende in considerazione benché per escluderlo, bensì il paragone che stabilisce tra “persone disabili” tra le quali si annovera, e “persone che hanno seminato dolore e terrore”, dato che domanda per i disabili “la stessa attenzione”. Dunque questa persona si pensa come delinquente – eppure handicap non è delitto – e non comune ma singolare come i terroristi degli anni di piombo. Ciò avvalora un’idea che all’epoca avevo senza coltivarla: che i terroristi si concepivano come dei disabili anche senza handicap fisici, tanto da autoescludersi da tutto, e da tollerare le loro lunghe detenzioni con stile da santi. Rispondo alla persona: Lei è più e meno brava di me nel riconoscersi delinquente o, come usano dire i cristiani, peccatrice.
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