
Hanno candidato D’Alema al Colle, ma pensavano a Napolitano
Questa la scommessa sul Quirinale di don Gianni Baget Bozzo, formulata lunedì 8 maggio. Ha indovinato?
I presidenti dei due rami del Parlamento hanno deciso di convocare in tempi ravvicinati, lunedì 8 maggio, l’assemblea elettorale del presidente della Repubblica. Si è così chiarito che sarà il nuovo capo dello Stato a conferire l’incarico a Romano Prodi. Ciò allunga i tempi di gestazione del ministero e quindi i problemi interni alla sua composizione. Esso comprenderà tutti i dirigenti di partito, che lascerebbero i loro incarichi di dirigenza assumendo impegni nell’esecutivo. Almeno questa sembra la linea generale, anche se in prima battuta sembrava che Rutelli e Fassino avrebbero ottenuto l’incarico appunto in quanto dirigenti. Ma resta il fatto che, contrariamente alle prassi precedenti, il governo sembra esso stesso la sede della coalizione. In una coalizione così multipolare è evidente che la mediazione politica deve avvenire nella stessa sede istituzionale. Risulta così evidente che il governo userà regolarmente il manuale Cencelli, cioè il calcolo dei posti di sottogoverno. L’unico punto in discussione è chi rappresenterà i Ds nel governo, se Massimo D’Alema o Piero Fassino. La felice diarchia che ha guidato la sorte del Botteghino per tanto tempo ora è giunta al discrimine: chi è l’autentico leader della Quercia? Se essa rimane diarchia, è giusto che colui che siede nel governo abbandoni il suo incarico di partito. D’Alema è così emerso dal centro della questione diessina, perché è al tempo stesso candidato alla presidenza della Repubblica e al ministero degli Esteri. È certo che il momento più importante della carriera di D’Alema è la sua candidatura al Quirinale, anche se essa ha una sua improbabilità perché non emerge da una intesa con la Cdl. Ed è proprio questo il metodo, quello dell’intesa tra maggioranza e opposizione, che D’Alema ha praticato nel ’99 con l’elezione di Ciampi e che ha proposto in un’intervista al Corriere della Sera.
Ma questa volta la strategia diessina è stata sin dall’inizio candidarlo. è questa la vera candidatura? Che il centrosinistra possa ottenere la sua unità votando il presidente dei Ds sembra improbabile. La presidenza della Repubblica è una “istituzione di messaggio” e difficilmente una figura così connessa con la storia comunista e postcomunista può essere il “messaggio”. Perciò, di fronte alle prime resistenze della Casa delle Libertà, l’Unione è tornata al metodo Ciampi proponendo un altro diessino, il senatore a vita Giorgio Napolitano. Questa candidatura è più credibile, non tanto per il voto del centrodestra, quanto per l’unità nel voto del centrosinistra. Crediamo che la Cdl non voterà Napolitano. Non vediamo il rischio di un ritorno su D’Alema. Non avrebbe il voto del centrosinistra appunto perché la sua figura è troppo connotata per essere votata dalla Margherita e dalla Rosa nel pugno. Napolitano quindi rimarrà probabilmente il candidato definitivo della maggioranza.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
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