Hanno perso. E perderanno
Colloquio di Luigi Amicone con Roberto Formigoni Un’intervista via l’altra. È il giorno della rivoluzione. Roberto Formigoni non lo sposti dicendo che ha vinto troppo. Inutile il solito giochetto di seminare zizzania in Casa. A Roma ci proveranno dividendo Fini dal Berlusca e da Bossi sulla legge elettorale. A Milano già ci provano i cronisti spiegando che è una stravitoria di Pirro, che il Presidente del Pirellone dovrà trattare ogni mattina con la Lega. I prepotenti che controllano curie, salotti e giornali vorrebbero ripetere il giochino del ‘94, dividere e continuare a imperare nonostante l’enorme bottino elettorale con cui il popolo ha portato in trionfo il leader della regione del buon governo, simbolo della riscossa dell’Italia intera.
Cominciamo dalla cronaca rosa, dal gossip e dagli ennesimi rumori di nozze primaverili di Formigoni: “Segnaliamo alla stampa, anche a quella amica, che la campagna elettorale è finita e che dunque si può smetterla di rompere le scatole con notizie che non hanno nulla a che vedere con la vita politica e che abbiamo già abbondantemente chiarito e smentito proprio in una intervista a Tempi”. L’intervista può ora procedere sui binari della politica vera.
Il presidente del Consiglio D’Alema si presenta dimissionario dopo la riunione del Consiglio de Ministri. Ciampi rinvia alle Camere. E adesso si profila l’ombra di governi tecnico-referendari. Che dite? Io temo soprattutto per il paese, perché saremmo in presenza di una forzatura istituzionale molto grave. Ricordiamo che in questo momento 32 milioni di italiani sono governati dal centrodestra e solo la metà dal centrosinistra. Poi francamente non capisco come un governo nazionale possa pretendere di governare contro tutte le regioni più importanti, quelle economicamente trainanti, quelle dove c’è l’80% del pil, delle importazioni e delle esportazioni. È chiaro: dal punto di vista numerico possono farlo e lo stanno già facendo. Ma se la rissosità nel centrosinistra è già altissima è facile prevedere che le formazioni più piccole scapperanno in mille direzioni. Alcune, parecchie, stanno già cercando rifugio nel centrodestra. Altre, vedrà, porranno condizioni impossibili al massimo alleato di governo, cioè i Ds. Francamente non sarebbe un bello scenario e, ripeto, il paese rischierebbe di andarci di mezzo, visto che siamo già in ritardo in Europa.
Quali formazioni starebbro già bussando alla porta del centro destra? Le dico soltanto che siamo in una situazione da Basso impero. I politici di area governativa che bussano alle nostre porte sono tanti. È ormai da tempo che il cosiddetto “centro” che sta col centrosinistra è ridotto a poco più che un soprammobile dei Ds.
Tra Lombardia e governo c’è un contenzioso pesante aperto su temi come la sanità e il buono scuola. A questo punto cosa succede? Dal punto di vista istituzionale io cercherò sempre il dialogo, il massimo di accordo con qualunque governo in carica. E questo perché non voglio far perdere un solo minuto alla Lombardia e al Paese. Certo sulle richieste più qualificanti che noi abbiamo avanzato in campagna elettorale non credo che un governo di centrosinistra concederà alcunché. Però quella avanzata in campagna elettorale è una proposta politica, forte, di federalismo, di devoluzione per tutte le regioni, non solo per quelle del Nord. Sono andato a Teano insieme ai leader del Polo a firmare il patto di accordo tra regioni del Nord e regioni del Sud. Da parte nostra non ci sarà nessuna forzatura istituzionale. La nostra è una richiesta di nuove leggi e di una nuova norma costituzionale per dare il federalismo, temo che ci risponderanno di no e allora lo faremo noi, vincendo le prossime politiche.
Lei intanto ha già stravinto perfino a Sesto San Giovanni, la Stalingrado di Lombardia…
Non è stata Stalingrado la vittoria più significativa, in alcune provincie abbiamo raggiunto consensi superiori al 75%. Ma a me interessa fare notare un’altra cosa, il risultato politico. Questa vittoria del centrodestra è veramente la sconfitta definitiva dei vecchi assetti. Può essere veramente l’inizio di una rivoluzione. Si avanza con una nuova classe dirigente il cui nerbo è costituito da chi ha costruito il benessere dell’Italia in questi anni, fino ad ora misconosciuto, cioè gli artigiani, i commercianti, i piccoli e medi imprenditori, i tecnici che hanno trovato finalmente una rappresentanza politica forte che è il Polo, la casa delle libertà, soprattutto Forza Italia. La vittoria clamorosa di queste elezioni regionali è la vittoria di questo nuovo blocco sociale, che poi è quello che ha fatto l’Italia perché da vent’anni sono questi signori che tirano la carretta, esportano in tutto il mondo e sono la classe affluente, che costruisce e che sgobba. Per vent’anni il potere continuava a essere gestito dagli altri, dai conservatori, dalla sinistra politica, dal sindacato schierato a sinistra e dalle famiglie monopoliste, la grande industria italiana che ha distrutto posti di lavoro in questi anni. Quindi di questo 16 aprile 2000 si sentirà parlare a lungo perché può segnare lo spartiacque, il crinale di una nuova Italia. Noto che il blocco sociale che ha perso è quello dei garantiti, imprenditori che vivevano dei contributi statali e delle rottamazioni, gli occupati che se ne fregavano dei disoccupati e dei pensionati, un sindacato oramai incapace di rappresentare gli interessi complessivi, ma soltanto quelli dei suoi iscritti. Vince un nuovo blocco sociale che possiamo chiamare il blocco dei non garantiti: i disoccupati hanno votato per noi e noi abbiamo vinto sul versante delle povertà e dell’emarginazione. Il centrodestra rappresenta i vecchi poveri e i nuovi poveri, i vecchi emarginati e i nuovi emarginati. Noi abbiamo sbaragliato la sinistra anche nel campo che riteneva di sua esclusiva proprietà: la solidarietà.
Come spiega il fatto che proprio al Nord c’è stata questa sconfitta della sinistra? La sinistra ha perso perché non aveva nulla da dire. Sono anni che la sinistra al Nord è muta. Sono anni che la sinistra al Nord non avanza uno straccio di proposta. Sono anni che la voce della sinistra al Nord è piena solo di critiche a quello che noi abbiamo fatto, ma non in nome di un’altra idea o di un’altra proposta, ma in nome, spesso, della menzogna.
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