I 3,66 metri di Adam Fritz, paraplegico, che è tornato a camminare

Di Leone Grotti
05 Ottobre 2015
Un copricapo che realizza encefalogrammi, un computer che legge i pensieri, un videogioco come trainer. Quando la scienza è per la vita e non contro

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Quando nel 2008 i medici dissero ad Adam Fritz che si era procurato una lesione al midollo spinale, e che di conseguenza non avrebbe mai più potuto camminare, non potevano neanche immaginare che si stavano sbagliando. Questo però non è l’inizio di una banale storia di malasanità, dovuta a una svista medica, perché non era la diagnosi ad essere errata ma l’inferenza.

L’INCIDENTE. Adam aveva solo 21 anni quando la sua vita cambiò per sempre. Uscito dal lavoro, stava facendo ritorno a casa, nella piccola città californiana di Diamond Bar. Ma dal carico del camion che procedeva sulla superstrada davanti a lui scivolò fuori all’improvviso un tavolo, che doveva essere stato fissato male e che centrò in pieno Adam, sbalzandolo dalla moto e scaraventandolo sull’asfalto.
«È uno dei classici momenti in cui è appropriata l’espressione: “Oh, merda”», racconta Adam al Time. «Ho provato ad alzarmi e rimettermi in piedi. Ricordo solo che i vigili del fuoco mi dicevano di non muovermi. Mi faceva male tutto». Due giorni dopo i medici diedero al ragazzo la terribile notizia: dovrai vivere paralizzato dalla vita in giù. Ma poche settimane fa, a otto anni di distanza da quel verdetto, Adam ha percorso con le sue gambe e senza l’aiuto di nessuno 3,66 metri. Il miracolo è stato possibile grazie al geniale lavoro di un gruppo di ricercatori dell’Università della California, che il 23 settembre ha pubblicato in merito uno studio sul Journal of NeuroEngineering and Rehabilitation.

UNA SEMPLICE OSSERVAZIONE. Il lavoro del team guidato da Zoran Nenadic, professore associato di ingegneria biomedica all’Università della California Irvine, è partito dall’osservazione di un semplice e banale dato di fatto: una lesione al midollo spinale impedisce la comunicazione naturale tra il cervello e le gambe, ma non danneggia in alcun modo la regione del cervello responsabile di inviare alle gambe il comando che permette il movimento, né tanto meno i muscoli delle gambe. Dunque, hanno pensato i ricercatori, basterebbe bypassare l’ostacolo del midollo spinale per consentire al corpo di muoversi.
Gli elementi base per rendere questo sogno possibile esistevano già. Da un lato, la scienza specializzata in riabilitazione ha scoperto da tempo in quale punto della gamba sistemare gli elettrodi per inviare segnali elettrici e permettere così alle gambe di muoversi, anche in caso di paralisi. Dall’altro, l’invenzione di un copricapo che permette di realizzare un encefalogramma, che misura l’attività del cervello e che la trasmette a un computer, «leggendo così i pensieri», non è certo una novità. Solo che nessuno aveva mai unito le due scoperte scientifiche.

L’UOMO GIUSTO. Nenadic e i suoi colleghi hanno cominciato a lavorare al loro progetto solo nell’estate del 2014. Prima di tutto bisognava trovare un paziente adatto alla sperimentazione, che fosse anche altamente motivato, e poi un centro di riabilitazione adeguato. Il Project Walk Spinal Cord Recovery Center di Carlsbad venne giudicato in modo estremamente positivo, così come un uomo di 27 anni che si trovava lì a svolgere alcuni esercizi di fisioterapia di routine: Adam Fritz.

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ALLENARE IL CERVELLO. Il percorso che ha portato un uomo paraplegico a camminare non è stato semplice né privo di ostacoli. Prima di tutto, Adam ha dovuto allenare il suo cervello. Erano sei anni che non camminava più e doveva riabituarsi anche solo all’idea. Oltretutto non è facile «concettualizzare» l’azione del camminare: «È stranissimo – racconta Adam – perché quando cammini non pensi davvero al camminare. Nella mia testa, io stavo fisicamente provando a muovere le mie gambe e poi a fermarle. Devi liberare bene la tua mente».
Per allenarsi, i ricercatori hanno fatto indossare ad Adam il copricapo in grado di captare i segnali del cervello e l’hanno collegato a un computer, dove attraverso un software è stato creato un Adam virtuale in grado di rispondere a quei segnali. Come in un videogioco, Adam doveva muovere il suo sé virtuale usando, al posto del mouse o di un joypad, il pensiero.

TUTTO WIRELESS. Può sembrare complesso, ma Adam ha imparato a pilotare il suo sé virtuale dopo sole 11 ore di allenamento. Completato il videogioco, non restava che provare a muovere le proprie gambe reali. Adam è stato prima bardato e fissato per sicurezza, come quando si compie una scalata in montagna, per evitare cadute, e poi gli è stato consigliato come aiuto un deambulatore. Ma la cosa più importante è che i segnali captati dal copricapo, e inviati via Bluetooth a un computer, venivano finalmente codificati in modo tale da permettere al computer di comunicare con gli elettrodi fissati subito sotto le ginocchia.

IL MIRACOLO. Prima di compiere i fatidici 3,66 metri, Adam ha affrontato durante un periodo di 19 settimane, 30 sedute da un’ora ciascuna. Il duplice scopo era quello di cominciare in modo graduale la rieducazione fisica e permettere ai ricercatori di capire qual era la quantità esatta di energia da inviare agli elettrodi, per far contrarre i muscoli e i nervi delle gambe in modo equilibrato. Solo in seguito è arrivato il grande giorno: «Non è stato doloroso – descrive la sensazione Adam – vacillavo tutto, ma ero ben piantato al terreno ». Un passo dopo l’altro, il miracolo è accaduto.

PROBLEMI DA RISOLVERE. Tutti i giornali del mondo hanno dato risalto alla notizia, anche se i problemi non mancano. Nessuno, sottolineano gli stessi ricercatori, ha trovato un modo per rendere reversibile la paralisi. Innanzitutto il test ha funzionato con Adam, giovane, motivato e in perfetta salute. L’uomo ha camminato in un ambiente protetto, eseguendo movimenti semplici, non certo in una strada, magari piena di ostacoli. Il sistema poi non è ancora del tutto affidabile: «I costi non sono certo eccessivi – ha dichiarato Nenadic – ma neanche economici. Abbiamo bisogno di fondi dedicati al progetto».
Le migliorie da apportare sono tante: innanzitutto è importante allenarsi perché il cervello invii messaggi che contemperino le esigenze del movimento e dell’equilibrio. Si potrebbe poi eliminare il copricapo, inserendo il sistema che permette di captare i segnali direttamente in testa. Questo, oltre che migliorare l’estetica, permetterebbe a chi utilizza il sistema di sentire le gambe che si muovono, aiutando così anche a stimolare il cervello.

QUESTA È «QUALITÀ DELLA VITA». I passi messi uno in fila all’altro da Adam non rappresentano una speranza solo per tutte le persone che soffrono di lesioni al midollo spinale. Sono anche il segno della grandezza della scienza e delle sue enormi potenzialità, quando viene usata per la vita e non per la distruzione della vita. Il gruppo di lavoro guidato da Nenadic, infatti, ha restituito dignità alla locuzione “qualità della vita”. Per restituire la “qualità della vita” perduta da chi soffre di lesioni al midollo spinale, i ricercatori non hanno proposto di eliminare il problema eliminando il soggetto, come sostengono tanti sedicenti attivisti dal cuore d’oro, ma hanno messo in moto la ragione, unendo due scoperte scientifiche già fatte da altri. La tecnologia appena sperimentata, e tutta da sviluppare, non solo «migliora la qualità della vita dei pazienti» valorizzando la loro autonomia, ma permette anche al sistema sanitario di «ridurre drasticamente i costi medici» per la cura delle conseguenze «date da una vita sedentaria su una sedia a rotelle». È la ciliegina sulla torta. Chapeau.

@LeoneGrotti

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