
I BUONI SAMARITANI DELLO TSUNAMI
Alle cinque del mattino in ogni angolo di ogni paese islamico ti svegliano le preghiere dai minareti. Ancora è notte e qui si prega, da noi da tempo hanno legato le campane dell’alba. Ascolti, nel buio, la voce del muezzin che salmodia grave, rotta a tratti nei singulti, sempre uguale nel tono. Non una melodia che si sviluppa, ma il ripetersi della stessa frase che torna su se stessa. Sottomessa, implorante; ma sempre ricondotta poi a quell’ultimo costante tono basso. Come se a questo Dio ci si potesse prostrare, ma non alzando gli occhi fiduciosamente domandare, come a un padre si domanda. In quell’abbandono, in quella speranza che secoli di musica sacra cristiana testimoniano. La travolgente speranza dei figli del Dio cristiano.
è vero, l’islam prega ancora prima che sorga il sole, e durante, e dopo il tramonto – noi abbiamo quasi smesso. Noi abbiamo legato le nostre campane. Tuttavia, anche in chi del cristianesimo ha dimenticato la memoria, quella radice è rimasta, profonda, e dell’Occidente s’è fatta respiro e motore. Lo vedi in Indonesia, sulle coste devastate dal maremoto, dove domina l’islam più integralista. La gente subisce con estrema dignità la sciagura. Ma dopo quasi un mese trovi gli scampati tra i resti delle rovine o nei campi profughi, come rassegnati. A poca distanza dalla strada ancora sono ben visibili alcuni cadaveri. Lì restano. Gli uomini passano, e vanno oltre.
Incroci le task force degli eserciti americano e australiano. Hanno costruito i campi per i rifugiati, rifatto i ponti, bonificano ogni giorno l’acqua. Perché sono qui? La naturale umana solidarietà? Ma gli uomini non nascono naturalmente solidali. Entrate in un asilo nido, e guardate quanto sono solidali gli uomini, a due anni. Venire qui, fra i morti e le rovine e il colera, perché? Forse i soldati del Mississippi e del Colorado non ne hanno più la memoria, ma c’è un motore profondo e antico che spinge l’Occidente. La parabola del Samaritano, letta e respirata per milioni di volte, di padre in figlio, di generazione in generazione, dalla vecchia Europa al Nuovo mondo e poi con l’orribile colonialismo in Asia e in Africa, è entrata nel dna nostro, e di quei popoli che con l’Occidente sono venuti in contatto. Per questo dopo una catastrofe si muovono, e vengono. Ricominciano. Gli è stato promesso, di padre in figlio, che la morte sarà vinta – benché forse non lo ricordino nemmeno.
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