I cattolici all’epoca del dopo “Partito Prete”

Di Gianni Baget Bozzo
22 Febbraio 2001
Dopo la fine della Dc, la chiesa prende atto, gallidellaloggiamente parlando, del tramonto del cattolicesimo politico in Italia. Piccolo ma intenso segnale: il Segretario di Stato Vaticano (invece del capo della Cei) incontra i leader dei due Poli. Resta il problema di un’identità autocensurata

Galli della Loggia ha scritto che il cattolicesimo politico è finito in Italia. I mini democristiani della Casa della Libertà rappresentano ormai più delle lobbies interne agli schieramenti che non dei partiti in nome proprio. I residui democristiani appaiono politicamente come resti di clientele meridionali. Il fenomeno della provincia di Avellino, che è stata il marchio d’origine della dirigenza democristiana e poi del Ppi, mostra chiaramente il rapporto tra clientelismo e politica, vivo ancora oggi. La Dc ha abdicato sin dagli anni del primo centro sinistra, con Moro, ad ogni cultura politica propria come cultura politica, si è imposta come garanzia democratica nel paese rispetto all’egemonia culturale del Pci. Il mondo cattolico ha cessato da tempo di essere una cultura politica autonoma. Eppure lo era stata, dal Risorgimento in poi. I cattolici come minoranza, prima intransigente e poi moderata, riempiono, sino al ’60, gli anni della storia del paese. Avevano sempre raggiunto una rappresentazione d’interessi sociali popolari rilevanti. I cattolici furono la chiave di volta del passaggio dallo Stato dei notabili alla democrazia. L’unità dei cattolici attorno alla Dc ha fatto della Chiesa italiana una forza elettorale, senza una definizione del proprio specifico politico e sociale. Ha fatto del voto cattolico una posizione di rendita per i politici democristiani, che non hanno cercato più di giustificare politicamente le loro scelte. La Dc è stato un singolare tipo di “partito prete” che non esiste in nessun partito democristiano europeo. E data la sua linea di collaborazione con i comunisti, che la loro cultura conservavano nonostante la crisi del comunismo russo, ha condotto il mondo cattolico italiano alla subalternità culturale verso la sinistra comunista nelle sue varie forme. Forse c’è un piccolo fatto, ma significativo a dimostrare la fine dei partiti politici cattolici e la loro riduzione a lobbies. Il cardinale Segretario di Stato ha deciso di ricevere i leader delle coalizioni italiane. Non il presidente della Cei, ma il Segretario di Stato, che ha cercato evidentemente garanzie sul piano concordatario e nelle questioni su cui la Chiesa è tematicamente schierata. I cattolici esistono oggi politicamente come lobbies di interesse elettorale non come forze politiche. Ornaghi scrive che il mondo cattolico ha una grande influenza culturale: l’editorialista di Avvenire si sbaglia. Si potrebbe scrivere la storia della cultura italiana senza trovare un cattolico che sia uscito fuori dal ghetto di cui parla Galli Della Loggia: che non riguarda solo i partiti. Vi fu qualche significativo contributo cattolico al ’68: penso a don Milani. I cattolici fanno notizia ma come fatto sociale quale i preti di strada. Vi sono tante editrici cattoliche, ma per fare cultura occorre avere un messaggio. La scomunica del consumismo non è un pensiero. E sorge il problema: in che senso un contributo culturale può dirsi cattolico? Il cattolicesimo è oggi una identità autocensurata.

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