I fili diversi che rinsaldano il legame tra Roma e Washington

Rassegna ragionata dal web su: la guerra in Ucraina, lo scontro con la Cina, l’immigrazione, la lotta alle mafie e altre valutazioni strategiche alla base del nuovo peso assunto dall’Italia agli occhi degli americani

Foto Ansa

Su Dagospia si scrive: «Gli Usa finita la guerra scaricheranno la sora Giorgia».

Chi guarda le questioni della politica estera dal buco della serratura, talvolta ci prende, ma spesso trascura il fatto che la politica estera degli Stati Uniti dipende in generale non tanto da fattori contingenti quanto da valutazioni strategiche, e che ragionando su queste ultime non sarà semplice per Washington (con Joe Biden, Donald Trump o chi verrà eletto nel 2024) liquidare l’Italia come si è fatto nel 1992, nel 1994 e tra il 2008 e il 2011.

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Su Formiche Max Bergmann, direttore del programma Europa, Russia ed Eurasia del Center for Strategic and International Studies, dice: «Non credo che l’Europa non abbia interesse a un Indo-Pacifico libero e aperto o che gli europei non percepiscano le azioni che la Cina sta intraprendendo sul mercato cinese e le misure di repressione nei confronti delle aziende occidentali. A volte le differenze di tono nelle relazioni con la Cina vengono sopravvalutate. Per certi versi, non vedo molta differenza tra la politica francese nei confronti della Cina e quella degli Stati Uniti. Probabilmente c’è più divergenza tra gli Stati Uniti e la Germania, anche se ci sono meno notizie su questo».

Forse Bergmann sottovaluta il nervosismo registrato a Washington per alcune recenti affermazioni di Emmanuel Macron su Taiwan, però il centro del suo ragionamento spiega come la “questione cinese” nei vari scenari (innanzi tutto quello artico e quello mediterraneo-africano) è fondamentale per gli Stati Uniti e questo spiega il peso politico di Stati come Svezia, Finlandia, Polonia (e di fatto va aggiunta l’Olanda) e a sud l’Italia, al di là del fatto che siano governati anche da partiti conservatori o meno.

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Su Huffington Post Italia Giulia Belardelli scrive: «Se l’obiettivo è ambizioso – affrontare “alla radice le cause profonde delle migrazioni” – la ricetta rimane, almeno per ora, la stessa: offrire più soldi e più quote di ingressi legali ai paesi africani per bloccare le partenze, con la promessa di avviare un percorso per sostenere lo sviluppo delle aree di provenienza dei migranti. Alla Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni, fortemente voluta dal governo Meloni come “punto d’inizio di una nuova stagione”, va riconosciuto il merito di aver riunito nella stessa stanza, alla Farnesina, esponenti di governo di una ventina di paesi interessati dal fenomeno migratorio, oltre ai vertici di Unione Europea, organizzazioni internazionali e agenzie umanitarie».

In particolare nel Mediterraneo sono ben presenti proprio ai democratici americani oggi alla Casa Bianca i pasticci combinati su istigazione franco-turca nel Mediterraneo dall’amministrazione Obama dopo il 2010. Chi guarda alla politica estera dal buco della serratura considera il mancato invito dei francesi alla conferenza sul Mediterraneo solo come il prolungarsi di una lite tra i ragazzini Emmanuel e Giorgia. Chi ragiona invece sulla base dei grandi processi in corso, è ben consapevole che Roma e tanto meno Ursula von der Leyen non avrebbero organizzato la conferenza di cui si tratta come l’hanno organizzata senza un rapporto stretto con Washington.

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Su Affaritaliani si scrive: «Ma, svela sempre il Riformista, a mettersi sulla strada di Gratteri sono in realtà le toghe di Magistratura democratica. Come? Con una attività di “moral suasion” per rompere il fronte dei laici, mettendo in evidenza l’approccio non proprio “garantista” del procuratore? “Gratteri è un fascistone di merda, capito, vuole che i piccoli spacciatori stiano in galera, i piccoli consumatori stiano in galera, tutto il mondo deve stare in galera a mente sua e la chiave devono darla a lui, lascialo stare che nu fascista del cazzo… Un fascista ma soprattutto è un mediocre e un mediocre, è un ignorante ed è un mediocre” era infatti stato il giudizio del giudice Emilio Sirianni, segretario di Md in Calabria, intercettato in una telefonata con il sindaco di Riace Mimmo Lucano».

Come ho già scritto, la lotta alle mafie globali, nei loro intrecci con Stati autoritari, è centrale per le scelte della politica estera americana. C’è stata una stagione nella quale Giovanni Falcone, in strettissima intesa con l’Fbi, cercò di colpire la mafia penalmente e di isolarla politicamente. Poi con l’uccisione del magistrato palermitano e del suo amico Paolo Borsellino, gli americani scelsero una via per così dire messicana, essenzialmente militare, non curandosi di governare processi politici che non preoccupavano una centralità di Washington che pareva non contestabile. Da qui settori di magistratura che arrivarono fino a gettare ombre su Carlo Azeglio Ciampi, Giovanni Conso, Oscar Luigi Scalfaro e Giorgio Napolitano, cioè sul governo e i presidenti della Repubblica e della Camera del 1993. Quando la sbornia unilateralista americana man mano si riassorbì, dopo il l’11 settembre 2001 e dal 2011 con la rottura con Pechino, l’Fbi è tornata a puntare su magistrati come Raffaele Cantone e Nicola Gratteri, concentrati sul colpire la criminalità organizzata più che sul riscrivere la storia d’Italia. Come si intuisce dagli strilli qui riportati di un orfano della giustizia politicizzata, anche questa scelta crea un solido legame con Giorgia Meloni.

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