I fiori della sovversione

Di Marina Corradi
27 Maggio 2004
Sembrerebbe proprio. Possibile?

Sembrerebbe proprio. Possibile? Guardando meglio, chinandosi a vederla da vicino, sì, è davvero una giovane spiga di grano, ancora verde, ingenuamente spuntata fra i binari del tram 14 in fondo a viale Certosa, dove finisce Milano. L’audacia della spiga commuove. è venuta su fra i sassi, e non appena sarà un po’ più alta verrà ghigliottinata dal 14, un tram tutto nuovo, un mostro verde come una biscia, che striscia veloce, rasoterra. La spiga, dunque, non ha scampo. Tuttavia, acerba e sfacciata, se ne sta dritta fra i binari, quasi provocatoria.
Sono cose di maggio. Come i papaveri fra le crepe dell’asfalto ai bordi dell’autostrada, belli come il fuoco, fatti di niente, rabbrividenti al vento delle auto che passano veloci. O l’erba che si fa strada da ogni spaccatura nelle massicciate delle ferrovie, o i fiori nei campi, seminati da nessuno, vita che preme da ogni parte, incontenibile, travolgente. Segno di un’abbondanza non nostra, misura colma come noi non sappiamo, e tutto a piene mani, per niente in cambio – pura gratuità.
Eppure un giorno a qualcuno tutto questo ha dato fastidio. Racconta Hoeung Ong Thong in Ho creduto nei khmer rossi, diario dai campi di rieducazione del regime di Pol Pot, che a un certo punto in Cambogia si arrivò a proibire i fiori, quali «sovrastruttura inutile alla costruzione del socialismo reale». Si dirà: nelle atrocità commesse in quegli anni in quel paese, tra omicidi, deportazioni, internamenti, di ben altro c’era da preoccuparsi, che non dei fiori banditi. Ed è vero, senonchè quella proibizione, ai nostri occhi assurda, svela a guardarla bene la radice del grande male che schiacciò quel popolo. Vietati i fiori, perché? Perché inutili, certo, innanzitutto. Ce l’aveva messa tutta, l’intellighentsia comunista, a rieducare la sua gente, a strappare i figli all’affetto delle madri, a radere al suolo la vecchia organizzazione del lavoro; e a creare con fatica un sistema in cui si era, finalmente, tutti eguali, e ciascuno aveva esattamente tanto quanto gli altri: pagati uguali, e vestiti uguali in case uguali, annientato ogni talento o bellezza o inclinazione.
Senonchè, proviamo a immaginare, forse un mattino sotto gli occhi di un gerarca, tra i mille campi ordinati, ne cadde uno splendente, di fiori di campo. E fu di fronte a quell’abbondanza non pianificata e non prodotta da forza lavoro, a quella variabile impazzita nell’economia comunista, a quella accecante, insensata, assurda bellezza, che il gerarca si accigliò. Gratuitamente, tutta quella abbondanza, perché? Nessuno dà gratuitamente, Marx non lo prevede. Quei fiori, un disordine, anzi: autentica sovversione. D’ora in poi, proibiti.

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