I giovani imprenditori cattolici: «Giù le tasse per chi investe in imprese innovative»

Di Rachele Schirle
01 Gennaio 2022
Intervista a Benedetto Delle Site, presidente giovani Ucid: «Saranno loro il vero motore dell’occupazione giovanile in futuro»

«Per noi giovani imprenditori cattolici» dice a Tempi Benedetto Delle Site, 32 anni, imprenditore nel campo dei servizi finanziari e neopresidente nazionale del Movimento Giovani dell’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti), «il primo dato che l’Italia dovrebbe valorizzare è la crescente vocazione a intraprendere e innovare delle nuove generazioni, ce lo ha ricordato recentemente il Santo Padre: Dio ci ha insegnato la creatività. Il desiderio di tanti giovani imprenditori e soprattutto della maggioranza degli startuppers è proprio quello di mettere a frutto il proprio talento servendo le persone ed il bene comune. Qualcosa straordinariamente in sintonia con i continui appelli dei papi al mondo degli affari».

L’Ucid è un’associazione privata di fedeli, sin dalla sua nascita nel 1947 su impulso dei cardinali Giuseppe Siri e Alfredo Ildefonso Schuster, richiama i propri soci, imprenditori, professionisti e dirigenti d’azienda, alla promozione attiva del bene comune e alla declinazione in ambito economico dei principi della Dottrina sociale della Chiesa. Ne deriva un’organizzazione composta, a livello nazionale, di circa 4 mila soci, articolata a livello territoriale in Gruppi Regionali a loro volta composti di Sezioni Diocesane. Il Movimento Giovani ricomprende gli aderenti all’Ucid fino ai 40 anni di età. L’Ucid nazionale a sua volta fa parte dell’Uniapac (International Christian Union of Business Executives) che riunisce insieme le associazioni di imprenditori e dirigenti cristiani in circa 40 Paesi di tutto il mondo.

Delle Site, chi sono gli imprenditori e i dirigenti cattolici?

Da cristiani, crediamo che i talenti ricevuti ci siano stati donati da Qualcuno e che sia un nostro dovere metterli a frutto. Fare impresa, dirigere un’azienda, significa rispondere ad una chiamata, la vocazione dell’imprenditore: creare ricchezza, organizzando beni e persone, realizzando e commercializzando prodotti e servizi. Un nobile lavoro che può creare occupazione e che contribuisce in modo determinante al bene comune. Oggi, in Italia, questo è spesso misconosciuto. Pensiamo a come ridistribuire la ricchezza, ma spesso chi la crea viene disprezzato. A volte ci sentiamo messi un po’ da parte anche nella Chiesa, questo, forse perché si studia e conosce poco la Dottrina sociale che i papi insegnano. Una volta il cardinal De Giorgi ci disse: l’Ucid serve a voi laici e anche a noi sacerdoti.

Cosa chiedono i giovani dell’Ucid?

Per noi, giovani imprenditori e dirigenti cattolici, il primo dato che l’Italia dovrebbe valorizzare è la crescente vocazione a intraprendere e innovare delle nuove generazioni, ce lo ha ricordato recentemente il Santo Padre: Dio ci ha insegnato la creatività. Il desiderio di tanti giovani imprenditori e soprattutto della maggioranza degli startuppers è proprio quello di mettere a frutto il proprio talento servendo le persone ed il bene comune. Qualcosa straordinariamente in sintonia con i continui appelli dei papi al mondo degli affari. Pensiamo all’enciclica Centesimus Annus di san Giovanni Paolo II, Wojtyla è stato il primo pontefice ad affermare che quella dell’imprenditore è una vera vocazione e che l’economia di mercato ha indubbiamente contribuito al benessere di milioni di individui: ma il vero capitale è la nostra mente umana con la sua creatività ed inventiva, che ci vengono dall’essere immagine di Dio Creatore. Se siamo questo allora anche lo sviluppo deve essere integrale: deve riguardare tutto l’uomo, nella sua dimensione materiale, morale e spirituale. Un uomo scisso non può esistere, per questo oggi l’economia va male, perché riduce la persona a homo oeconomicus, ha dimenticato chi è l’uomo e non riesce più a servirne i bisogni.

In suo intervento pubblicato sul Sole 24 Ore lei ha lanciato la proposta di detassare chi investe in start-up nei prossimi dieci anni per creare nuovi posti di lavoro.

La nostra proposta è quella di azzerare la tassazione sul cosiddetto capital gain, cioè liberare da imposizione i proventi derivanti dall’investimento di capitali nelle cosiddette imprese innovative, tanto da parte di persone fisiche che da parte di società e, più in generale, di detassare tutti gli investimenti verso l’ecosistema dell’innovazione, sia italiani che esteri. Questo almeno per i prossimi dieci anni. Crediamo infatti che le start-up e Pmi innovative saranno il vero motore dell’occupazione giovanile in futuro: nel 2020, anno della crisi pandemica, il 70% delle start-up e delle imprese innovative italiane ha aumentato il proprio organico e in un caso su cinque il personale è addirittura raddoppiato rispetto al 2019. Tali imprese mancano di capitale proprio e di canali di accesso finanziario. L’Italia in questo è terribilmente indietro ma ha giacimenti di talento e caratteristiche per diventare una start-up nation.

L’Italia può davvero esserlo?

È la nostra scommessa. Certamente la leva fiscale è importante ma occorre intervenire anche sul nostro sistema di istruzione e formazione, collegandolo con il mercato del lavoro e in modo particolare con il mondo delle imprese. È necessario preparare i ragazzi che escono dalle diverse facoltà universitarie, oltre che alle tradizionali professioni (molte delle quali in crisi), anche all’avvio di imprese innovative, creando connessioni virtuose fra i luoghi della formazione e della ricerca e l’industria dell’innovazione. Il paradigma dell’open innovation porterà sempre più imprese a ricercare l’innovazione all’esterno dell’azienda, entrando in contatto fecondo con il mondo delle università e con quello della ricerca. Questo genera nuove opportunità per i giovani (parliamo di studenti, ricercatori, sviluppatori, startuppers) che hanno conoscenze e idee da proporre a grandi aziende e più in generale a stakeholders interessati. Il tutto può e deve tradursi in reali opportunità di profitto e di reddito, anche per arrestare l’espatrio di talenti che ormai va avanti da anni. Al nostro Paese chiediamo un cambio di passo importante: puntare sui giovani che intraprendono, aiutare chi dà loro i mezzi per sviluppare le proprie idee. Non vogliamo vedere seppelliti i talenti ricevuti. La fede, l’etica e la cultura cristiane, con la loro valorizzazione della creatività della persona umana e l’attenzione al bene comune, possono accompagnare questo processo ed esserne addirittura l’anima.

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